Abbiamo spesso scritto sulla ignobile pratica dell’ utero in affitto, che consiste nella vera e propria compravendita dei più deboli e indifesi fra gli esseri umani: i bambini. Giovani donne vendono gli ovuli a prezzi che vanno da 30 ai 50.000 dollari, secondo la loro bellezza, intelligenza e dati genetici, a una coppia sterile, un single o una coppia omosessuale. I committenti ricorrono alla fecondazione in vitro con seme proprio o eventualmente comprato e impiantano gli embrioni così ricavati nell’utero di una povera donna, spesso indiana, sud americana o ucraina, che vende la propria dignità per pochi soldi, rispetto ai guadagni stratosferici che entrano nelle tasche degli intermediari e delle cliniche che praticano la FIV. Tutto ciò viene regolato da contratti che spesso non offrono alcuna garanzia alla donna che dà il grembo, anzi, le impongono condizioni inique e disumane, nel contesto di una pratica che già di per sé calpesta la dignità di donne e bambini. Il giro d’affari, però, produce miliardi di dollari di profitti.
Una cosa che molti non sanno e che molti fingono di non sapere è che questa ignobile pratica viola anche diverse norme di diritto internazionale.
Per esempio il Protocollo facoltativo alla Convenzione sui diritti del fanciullo concernente la vendita di bambini, la prostituzione infantile e la pedopornografia, all’art. 2° specifica chiaramente “Per vendita di fanciullo (..si intende) qualsiasi atto o transazione che implica il trasferimento di un fanciullo da una persona o da un gruppo di persone ad una persona od ad un altro gruppo di persone contro pagamento o qualsiasi altra forma di prestazione”. Perciò la consegna del neonato ai genitori committenti, contro compenso od altri vantaggi, rappresenta una violazione del diritto internazionale.
Quando la legge dello Stato dei committenti vieta l’utero in affitto, chi vi ricorre cerca di simulare un’adozione. Pertanto è il caso di ricordare alcune delle molte disposizioni relative all’adozione internazionale. Nel preambolo della Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale viene affermata l’intenzione degli Stati firmatari della Convenzione: “Convinti della necessità di prevedere misure atte a garantire che le adozioni internazionali si facciano nell’interesse superiore del minore e nel rispetto dei suoi diritti fondamentali, e che siano evitate la sottrazione, la vendita e la tratta dei minori”…… L’interesse superiore del bambino e ripetuto varie volte nella Convenzione, come ad esempio nei Cap 1/art. 1, art 16/d, 21/1, 21/c e Cap. V / art.24. Inoltre, nella stessa Convenzione, all’art 4/3 , viene vietato “che i consensi non sono stati ottenuti mediante pagamento o contropartita di alcun genere e non sono stati revocati”; nell’art. 4/3 “che il consenso della madre, qualora sia richiesto, sia stato prestato solo successivamente alla nascita del minore” e nell’’ Art. 32/1 “non è consentito alcun profitto materiale indebito in relazione a prestazioni per una adozione internazionale”.
Anche la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, nell’art. 7, chiede che “Il fanciullo sia registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi”.
Per chi conosce la lingua francese consigliamo anche questo bellissimo testo del “European Centre for law and Justice”.
Spesso gli organi di stampa, nazionali ed internazionali, invocano l’osservanza delle regole e prescrizioni dettate dall’ONU, dall’UE ed altre Istituzioni Internazionali.
Perché non scrivono e non parlano di queste Convenzioni in difesa dei nostri bambini?
Antonio Brandi