A Parigi, nella sede dell’Assemblea Nazionale, al termine della Conferenza de La Haye, Organizzazione impegnata nella difesa dei diritti umani e della famiglia, è stata firmata la Carta per l’abolizione universale dell’utero in affitto.
Al convegno hanno partecipato intellettuali di diversa estrazione politica, laiche e cattoliche, femministe di lunga militanza, attiviste lesbiche.
Marie-Josephine Bonnet, Sylviane Agacinski, tanto per fare due nomi di spicco, hanno ribadito che «non esiste un diritto al figlio» e che i bambini non si vendono né si regalano.
La Carta, che può essere firmata da tutti cliccando qui, chiede che cessi «la mercificazione del corpo delle donne e dei bambini», si oppone «a tutte le forme di legalizzazione della maternità surrogata sul piano nazionale e internazionale» e ne chiede l’abolizione universale a cominciare da tutti i Paesi europei.
Come la prostituzione, anche la pratica dell’utero in affitto trasforma le donne in oggetti da sfruttare per ottenere una prestazione sessuale o “materna”. Il corpo delle donne deve essere riconosciuto come un bene indisponibile per l’uso pubblico, ha detto l’Agacinski. La madre surrogata non è forse madre genetica ma è senza dubbio madre biologica, tenuto conto degli scambi fisiologici che avvengono per nove mesi tra la madre e il feto. Il bambino in questo modo diventa un bene su ordinazione, dotato di un valore di mercato. Questo è inaccettabile.
La giornalista Sheela Saravanon ha sottolineato la «dimensione colonialista» dello sfruttamento delle donne, in India e negli altri Paesi poveri. Ma se qualcuno ritenesse che l’utero in affitto nei “Paesi civili”, dove le leggi tutelano i cittadini sia accettabile, si riguardi la testimonianza di Elisa Anne Gomez (presentata in conferenza stampa al Senato da ProVita) o quella di Melissa Cook: l’utero in affitto è semplicemente la vendita e l’acquisto di carne umana.
La giornalista svedese Kasja Ekis Ekan, invece, risponde a chi sostiene che l’utero in “comodato”, dato gratuitamente (sempre contro “rimborso spese”, però...), sia eticamente accettabile: «La maternità surrogata etica semplicemente non esiste. È la sorella minore della prostituzione. L’altruismo è un falso argomento perché la stragrande maggioranza delle donne si fa remunerare in ogni caso».
Anche se fosse gratis sarebbe comunque uno scandalo, afferma la femminista lesbica Bonnet al Le Figaro: «I bambini sono esseri umani, non possono in ogni caso essere prodotto di scambio. Non si può regalare un bambino. Non sarebbe un progresso, ma una regressione. Così si uccide la madre e questa è la regressione per eccellenza. (...) L’utero in affitto è prima di tutto la distruzione della madre (…) e questo tocca l’identità delle donne ».
E prosegue:«Negli anni 70 (…) sono nati i primi bambini in provetta. Con grande rapidità i medici si sono impadroniti del corpo della donna. La tecnicizzazione della sessualità riguarda soprattutto le donne. I bambini nascono in laboratorio. Sono i medici ora che controllano la procreazione. Noi siamo passati da un patriarcato familiare a un patriarcato tecnicista. L’impotenza spirituale delle nostre società occidentali, che non credono più in niente, ha facilitato la fuga in avanti della tecnica. Oggi ormai il mondo crede solo nei soldi e nella tecnica».
Su Avvenire, la Morresi sottolinea che dal punto di vista legale, il divieto di ricorrervi – che in Italia già c’è – è aggirato proprio in quei tribunali che dovrebbero farlo rispettare. Mentre i media fanno a gara nel raccontare storie commoventi e a lieto fine di famiglie felici.
Intanto cliniche, agenzie internazionali, uffici legali, vedono lievitare i propri guadagni commerciando con i corpi delle donne più vulnerabili.
Ma, prosegue la Morresi, l’utero in affitto è il fronte d’onda dello tsunami antropologico che ci ha investiti, la manifestazione più eclatante del nuovo paradigma che minaccia di cambiare – letteralmente – i connotati dell’umanità: il fatto che una donna possa partorire un figlio che non è suo, e poi cederlo legalmente a chi glielo ha commissionato, può accadere solo se si riconosce che si è genitori non quando si concepisce e si porta in grembo un bambino, ma quando si ha intenzione di averlo.
Come abbiamo scritto e ripetuto più volte, l’utero in affitto completa la frattura operata dalla fecondazione artificiale: la madre genetica, è diversa dalla portatrice (tendono a non chiamarla neanche “madre” gestazionale) e dalla madre ‘d’intenzione, la madre legale, la committente, che può essere anche ... un uomo.
Qual è la “vera madre”? Si decide per contratto. Si perde il dato reale. E il bambino perde la mamma appena nasce: programmato orfano da prima del concepimento.
Conclude la Morresi: “Manca l’ultimo tassello: la durata del contratto. Per noi è scontato che un figlio è per sempre: da un figlio non si può divorziare, perché il legame biologico non si può rompere, al massimo si può ignorare. È possibile dire al coniuge ‘tu non sei più mio marito’, e si può divorziare, ma con un figlio no. Al massimo si vive lontani, ‘come se tu non fossi mio figlio’, ma dai figli non si divorzia. Se, però, si è genitori per volontà, e si è stipulato un contratto, perché il contratto coi figli deve valere per sempre? L’intenzione si può spegnere, la volontà può venire meno, e con essa il solo ‘per sempre’ su cui si fondano le relazioni umane. Nel gioco mercantile che riduce le persone a cose, questa è la nuova posta, adesso”.
Redazione