Una veglia di preghiera “per il superamento dell’omotransbifobia”. Questa iniziativa, che ha peraltro coinvolto molte Diocesi italiane con una regia unitaria, ha spinto l’attivista pro life Roberto Allieri a scrivere una lettera aperta al vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi, che vuole essere manifestazione di rammarico e profondo sconcerto. Come tiene a ribadire Allieri, la lettera è stata un’iniziativa spontanea partita esclusivamente dai singoli fedeli e dal loro personale disagio.
Signor Allieri, cosa vi ha spinto a mandare questa lettera aperta al Vescovo?
«Notiamo che questa veglia è inserita in un programma e una strategia a livello nazionale. Pensiamo che lo stare in silenzio di fronte alla promozione di condotte peccaminose diventi a sua volta occasione di peccato. Non solo peccato di omissione ma anche mancanza di quelle opere di misericordia che sono consigliare i dubbiosi o ammonire i peccatori. Inoltre vorremmo porci come modello per altre iniziative analoghe in altri territori. Insomma, possiamo fare rete anche noi per smascherare certe strumentalizzazioni ideologiche volte a promuovere comportamenti, considerati dal catechismo e dal Magistero ‘intrinsecamente disordinati’, che si vorrebbero però far passare come accettabili e senza connotazioni di peccato. In questi pochi giorni ci sono pervenute adesioni provenienti da ben 55 Comuni della provincia bergamasca. Ma al di là delle sottoscrizioni, abbiamo riscontrato che esiste un fiume di dolore, delusione, avvilimento, arrabbiature che riguarda moltissimi fedeli».
Cosa risponde a chi vi accusa di essere divisivi?
«Purtroppo siamo succubi di una retorica, anche ecclesiastica, che si arrocca continuamente dietro il paravento dell’inclusività e della necessità di non essere divisivi. In realtà spesso qualcuno considera divisivo chi è divisivo dal suo pensiero. Personalmente trovo troppe volte pretestuoso che la Chiesa debba essere a tutti i costi inclusiva e non divisiva. Con certi peccati non si può essere inclusivi. Del resto chi più di Gesù Cristo era divisivo nei suoi insegnamenti?»
C’è qualche aspetto della lettera che vuole porre in rilievo?
«Faccio notare la dicitura che campeggia sulla locandina ‘Chi accoglie Voi accoglie me’. Dove il Voi in maiuscolo allude neanche tanto velatamente a chi si riconosce nella galassia LGBT e il me in minuscolo a Gesù Cristo, che sembra sminuito per fare posto a chi merita di più. Intendiamoci: è una mia interpretazione, magari ci sono giustificazioni di opportunità pastorali che mi sfuggono. Sarei curioso di vedere come ce le spiegheranno. Inoltre, se guardiamo bene la locandina scopriamo che l’immagine è inquietante. Abbiamo l’interno di una chiesa pienamente ‘arcobalenato’ con tutte le persone che danno le spalle all’altare e al tabernacolo e sono rivolte verso l’uscita. Che significato ha? E’ vero che papa Francesco parla di ‘chiesa in uscita’ ma questa ci sembra un’interpretazione abusiva. Si vuole promuovere chi scappa dagli altari fuori dalle chiese?»
Quale il rischio del proliferare di queste “aperture” secondo lei?
«Se guardiamo agli stili di vita riconducibili a chi si riconosce nella galassia LGBT, come cattolici non possiamo far finta di non vedere o minimizzare certe situazioni. Non si può obbligare un cattolico a riconoscere che gli atti omosessuali siano intrinsecamente ordinati, che non costituiscano peccato o che da un punto di vista morale siano oggettivamente buoni. Dice Peguy che il modernismo, con la sua ossessione per il dialogo, pretende che noi rinunciamo a credere per non offendere l’interlocutore che non crede. Ecco noi non vogliamo arrivare a questo punto»