Le inclinazioni di una persona omosessuale non costituiscono una colpa. Gli atti sì. Questo da sempre insegna la Chiesa.
Oltretutto, l’identità di qualcuno non è data dall’orientamento sessuale. Definirsi omosessuale è già auto-ghettizzarsi. Prima di tutto siamo persone. E alcuni possono avere desideri omosessuali. Ma non è questo che classifica una persona.
Vi proponiamo la splendida testimonianza di Giorgio Ponte, un ragazzo con tendenze omosessuali che però vive secondo quanto indicato dal Catechismo. Spesso sul tema c’è tanta confusione.
Lo ripetiamo: gli atti omosessuali (e a maggior ragione i rapporti stabili, le unioni e i “matrimoni” di tal tipo) sono dei disordini morali, contrari alla legge di Dio e al bene dell’uomo stesso.
Le inclinazioni omosessuali, invece, pur “disordinate”, in quanto tensione verso tali atti, non rendono la persona che li prova colpevole o peccatrice. Queste tendenze, come tante altre (ad esempio innamorarsi della donna d’altri) sono disordinate, ma non peccato: vanno cioè controllate. La Chiesa insegna ad accettare tale debolezza e a cercare di non seguire dette inclinazioni. Ciò vale per tutti, perché tutti sono esposti a desideri cattivi.
La Chiesa Cattolica insegna che vivere in castità, senza assecondare le proprie pulsioni omosessuali, è l’unica strada, per chi non riesce a liberarsi da queste pulsioni, che permette di conseguire il bene integrale della persona e di raggiungere alte vette di santità. In tal modo si è veramente liberi e certamente Dio non farà mai mancare la sua grazia e il suo sostegno.
Di seguito la testimonianza di Giorgio Ponte, che ci sentiamo di ringraziare per aver proposto uno stile di vita e un modo di affrontare la questione che può essere davvero utile per molti e che serve a fare chiarezza in materia.
Redazione