Ha tutta l’aria di uno che non vuole essere trattato da eroe. Eppure ciò che questo attempato imprenditore veneto ha fatto per i suoi dipendenti non è cosa da tutti i giorni. Siamo in tempi in cui la normalità fa notizia: così è stato per Vinicio Bulla, settantanovenne fondatore della Rivit, azienda con sede a Caltrano (VI), sull’altopiano di Asiago, specializzata nella produzione di tubi in acciaio inox e leghe speciali di grandi dimensioni, destinate a imprese italiane ed estere estrattrici di idrocarburi.
Fatturato di 100 milioni di euro annui e 150 dipendenti, la Rivit non ha mai licenziato nessuno, nemmeno negli anni più bui che hanno segnato la crisi dell’industria italiana, avvertita in modo particolarmente sensibile nel ricco Nord Est. Lo scorso ottobre, Bulla ha consolidato la sua fama di imprenditore pro family, stipulando un contratto che prevede il rimborso delle spese scolastiche per i figli dei suoi dipendenti. A beneficio del primo figlio per cui se ne faccia richiesta, sono previsti fino a un massimo di 6.600 euro all’anno per ogni iscrizione all’asilo nido e fino a 3.000 euro all’anno per ogni iscrizione alla materna. Per il secondo figlio sono previsti sussidi una tantum di 2.000 euro, che salgono a 3.000 per il terzo figlio e gli eventuali successivi, ai quali sono garantiti anche 550 euro al mese per il nido e 250 euro per la materna. Il progetto di welfare familiare-aziendale della Rivit sarà attivo almeno fino al 2025.
La felice esperienza di Bulla e della sua azienda ha suscitato il plauso del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, che ha indicato nella Rivit «un modello da proporre a tutti gli imprenditori veneti». Una lettera di congratulazioni e sostegno è arrivata a Bulla da parte dell’assessore regionale al lavoro, Elena Donazzan: «Le sono profondamente grata per la sua scelta di grandissimo valore sociale, che testimonia ancora una volta il profondo legame che unisce le imprese venete al loro territorio», scrive l’assessore.
«Ho deciso di destinare i miei risparmi alla promozione della natalità, anziché a qualche banca, col rischio magari di perdere tutto», ha dichiarato Vinicio Bulla. Alla base della sua iniziativa, c’è senz’altro un affetto speciale e un’attenzione umana per i suoi dipendenti ma, più di ogni altra cosa, c’è una fortissima consapevolezza del valore sociale di qualunque azienda. Bulla è un cattolico praticante e crede convintamente nei principi della dottrina sociale della Chiesa, compresi la sacralità della vita dal concepimento alla morte naturale e l’incentivo alla crescita demografica. A colloquio con Pro Vita, il fondatore di Rivit ha illustrato le ragioni della sua scelta.
Signor Bulla, cosa l’ha spinta a mettere in piedi queste misure a beneficio dei figli dei suoi dipendenti?
«John Fitzgerald Kennedy diceva: “Non chiederti cosa il tuo Paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il Paese”. E io, consapevole del doloroso inverno demografico che attraversa l’Italia, ho preso sul serio questa frase».
Viviamo una crisi economica decennale, eppure, nemmeno negli anni più drammatici, lei ha mai licenziato un dipendente: cosa l’ha motivata a tenere duro?
«Siamo zoppicanti ma siamo pur sempre cristiani, per noi non è solo il denaro ad avere valore, conta anche aiutare chi soffre, evitare, con qualche sacrificio, che gli altri soffrano. Mi pare sia carità anche questa… nulla di particolare, non trova?».
Eppure non tutti gli imprenditori cattolici o sedicenti tali agiscono come lei!
«Eh sì, di cattolici incoerenti ce ne sono! Ce ne sono anche in politica: una volta che si candidano diventano immediatamente “cattolici adulti” e votano queste leggi infami contro la vita, contro il buonsenso, contro la natura».
Anche l’affetto per i suoi dipendenti l’ha motivata?
«Se dobbiamo spendere qualcosa, è bene farlo per chi ci ha aiutato in azienda, per lo sviluppo, anche per il reddito, perché lavoriamo tutti insieme, siamo ognuno complementare all’altro, quindi ci vuole questa comunione di vedute. Io credo che se tu dai, alla fine anche i dipendenti imparano a dare ancora di più. Mi pare sia stato scritto da qualche parte che se tu dai, qualcosa ti sarà dato, no?».
Lei ha accennato di avere molto a cuore la questione demografica…
«Il crollo della natalità non è solo un fattore economico. C’è di mezzo anche la cultura del pensiero unico. Dopo l’illuminismo, è subentrata una mentalità materialistica che ha cancellato la trascendenza: dobbiamo goderci la vita finché dura, ai figli ci penseremo dopo, intanto andiamo in vacanza, spendiamo a destra e a manca… C’è anche un motivo culturale, quindi, che sta prendendo il sopravvento in tutta l’Europa occidentale, a partire dall’Unione Europea».
Ritiene che il suo modello sia adottabile anche nel resto d’Italia, magari al Sud?
«La nostra Regione dispone di più mezzi, al Sud sono più in difficoltà, ci sono anche problemi di ordine pubblico. Però anche lì ci sono aziende valide, con enormi potenzialità che potrebbero fare grandi progressi. Fino al 2008, qui nel Nordest la disoccupazione era a zero, tanto è vero che abbiamo anche assunto stranieri e questo fa parte del momento storico. Sappiamo che in Italia non sono sufficienti le nascite per coprire i posti di lavoro di domani, quindi dobbiamo anche prendere in considerazione gli immigrati che vengono da noi o, quantomeno, quelli che ne hanno pieno diritto (sugli altri ci sarebbe da discutere…)».
Luca Marcolivio