Roger Foley ha la vita segnata da un’atassia cerebellare, una grave condizione neurologica degenerativa.
Il sitema sanitario del suo Paese, il Canada, gli ha offerto la “morte assistita” (MAiD), ma non una “vita assistita”.
L’assistenza domiciliare organizzaata dalla pubblica amministrazione si è dimostrata gravemente inefficiente: gli hanno causato danni alla salute (intossicazione alimentare, farmaci sbagliati...) e alla sua abitazione (un incendio). Da due anni, quindi. l’uomo è ricoverato in ospedale. Ora Roger vuole tornare a casa sua e ripristinare l’assistenza domiciliare, ma vorrebbe organizzarla e dirigerla da sé: l’Ontario, infatti, ha recentemente creato un’agenzia chiamata Self-Directed Personal Support Services Ontario (SDPSSO) che dovrebbe proprio rispondere alle esigenze di Roger, ma gliela hanno negato: evidentemente la sua vita non è “degna” di quel servizio.
Se non vuole tornare con gli assistenti di prima – che l’hanno quasi ammazzato – gli offrono la morte, “il suicidio” assistito (e ci vuole tutto il coraggio della neolingua orwelliana per chiamarlo “suicidio”).
Foley ha citato in giudizio l’ospedale, diverse agenzie sanitarie e i procuratori generali dell’Ontario, perché non ha alcuna intenzione di lasciarsi “suicidare”.
Hanno anche minacciato di dimetterlo forzatamente dall’ospedale: se resta dovrà pagare 1800 dollari al giorno per la degenza.
Giustamente Foley sostiene i suoi diritti costituzionali “alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona” sono stati violati. L’Euthanasia Prevention Coalition si è schierata al suo fianco e ha lanciato una petizione a sostegno della richiesta di Roger che chiede una “vita assistita” e non la “morte assistita”.
Redazione
Fonte: Euthanasia Prevention Coalition
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