E’ stato firmato nelle scorse settimana la Westminster Declaration, un appello che raggruppa personalità e professionisti di tutto il mondo per proteggere la libertà di espressione e di informazione. La giornalista Martina Pastorelli spiega l’iniziativa: «L’appello nasce da una constatazione che ha messo d'accordo tutti: giornalisti, comunicatori, attivisti provenienti da tutto il mondo. Ci siamo riuniti lo scorso giugno nel quartiere londinese di Westminster per confrontare le situazioni nei rispettivi paesi quanto a libertà di espressione e abbiamo preso atto che stiamo vivendo un'erosione continua di questo diritto fondamentale della libertà di espressione e quindi di informazione per opera di quello che abbiamo definito un complesso censorio industriale formato da attori governativi, piattaforme online, università e Ong che sono sempre piu impegnati a monitorare i cittadini e a privarli della loro voce con il pretesto di combattere la lotta alle fake news, alla disinformazione, di combattere il linguaggio di odio e tutelare le fasce deboli».
«Questo complesso – spiega - agisce, noi crediamo, attraverso la diretta pressione delle autorità governative. Lo dimostrano i fatti: ha dimensione globale e dispone di una tecnologia che consente un controllo totale, senza precedenti sulle nostre vite. Per questo l’ora è grave e di qui la necessità di richiamare con questo documento l'attenzione su quanto sta accadendo che è rivolto a governi, piattaforme digitali e cittadini in difesa di questo diritto umano fondamentale. Un altro elemento importante da sottolineare sono i nomi di primissimo piano, culturale e accademico, come Julian Assange, Oliver Stone e moltissimi altri».
Lo scopo? Impedire che le future generazioni crescano con la paura di esprimere la propria opinione. La genesi appare eveidente: dal politically correct a tutto quello che è stato censurato con il Covid l’escalation è preoccupante: «Dal politically correct alla censura dei fact checker, che operano con criteri poco chiari e talvolta con dichiarata parzialità andando a rimuovere dal web opinioni lecite su argomenti di grande importanza, oggi siamo alla fase 3 della censura istituzionale e legislativa. Vedi la legge irlandese di “incitamento all’odio” per cui si potrà finire in carcere se si incita all’odio in base alle caratteristiche protette, laddove il concetto di odio non è ben definito e rischia di colpire chi fa opinioni sgradite. Poi c’è la legge australiana sulla disinformazione che potrà rimuovere tutto ciò che è ritenuto disinformazione senza definire disinformazione. Ma questi sono solo alcuni dei provvedimenti – aggiunge Pastorelli - che minacciano di limitare fortemente la libera espressione: un’operazione a tenaglia di repressione e silenziamento che non ha precedenti. Purtroppo c’è anche un giornalismo che si conforma e che anzi diventa parte del sistema censorio».
Attenzione perché questo sistema censorio avviene con la scusa della salvaguardia della democrazia. Una menzogna: «Nella Dichiarazione dei Diritti Umani e nell’articolo 21 della Costituzione Italiana si protegge il diritto all’informazione: con la scusa delle Fake News, i cittadini vengono trattati come minus habens incapaci di riconoscere ciò che è vero o meno e a monte si decide cosa dobbiamo sapere. Quando il DSA europeo entrerà in vigore su qualsiasi argomento potranno decidere cosa è disinformazione. Non cadiamo nella trappola - chiude Pastorelli - che ciò sia fatto in nome della salvaguardia della democrazia perché è esattamente il contrario. Non possiamo affidare a politici e burocrati quello che è o non è informazione: ci hanno dimostrato di non essere corretti, in buona fede, di non volere il bene della popolazione ma di perseguire altri disegni e di mentire anche piuttosto spudoratamente su ogni tema».