10/10/2024 di Alessia Battini

22 Stati Usa contro gli uomini trans negli sport femminili, una deriva sempre più ampia. Anche in Italia

Una recente decisione del presidente americano Joe Biden e della sua vice Kamala Harris ha spinto ben 22 Stati degli Usa, insieme a gruppi femminili e sportivi, a intervenire presso la Corte d’Appello del Quinto circuito per esprimere un parere contrario alla scelta della Casa Bianca di modificare il nono emendamento.

Quest’ultimo, infatti, è una norma garantista della parità di genere e delle pari opportunità tra uomini e donne, peccato che sia stata di recente presentata la volontà di stravolgere questo emendamento dall’amministrazione Biden, che vorrebbe cambiare il termine “sesso biologico” con “identità di genere”, permettendo così anche agli uomini di beneficiare di tutte quelle tutele previste in origine per le donne. Pensiamo infatti all’ingresso nelle competizioni sportive, nei bagni, negli spogliatori femminili e così via.

A questa decisione si è opposto un consiglio scolastico dello Stato della Louisiana con a carico più di 20.000 studenti, che ha citato in giudizio il Dipartimento dell’Educazione statunitense poiché considerava incostituzionale la modifica prevista per il nono emendamento. Gli avvocati di Alliance Defending Freedom intendono dimostrare che questa decisione finirebbe per minacciare quegli stessi bambini che si crede di tutelare: infatti, sulla base di questa modifica, i maschi dovrebbero essere ammessi nei bagni e negli spogliatoi femminili se si dovessero “identificare” come femmine, e dovrebbero poter giocare nelle squadre sportive femminili. E non solo i bambini. Ciò infatti varrebbe anche per adolescenti, giovani e adulti.

Da qui la decisione dei ben 22 Stati americani di presentare un parere legale che mira a sostenere la posizione della Louisiana. Diverse associazioni in difesa dei diritti delle donne si sono unite alla causa: Independent Women’s Law Center, Women’s Declaration International USA e Concerned Women for America states. L’aspetto che ci tengono ad evidenziare è che non è per bigottismo che le donne si sentirebbero a disagio a contatto con uomini in ambienti privati come bagni o spogliatoi, ma si tratta di un istinto difensivo che si rivela quando ci si trova in una situazione di vulnerabilità in mezzo a uomini molto più forti fisicamente che potrebbero abusare della loro superiorità fisica.

Per fortuna, lo scorso mese la Corte Suprema ha negato all’amministrazione la possibilità di modificare il nono emendamento, assecondando la decisione del Quinto Circuito che ha condiviso le posizioni degli oppositori.

La denuncia dei 22 Stati Usa è però solo l’ennesimo caso di una vera e propria emergenza internazionale, ovvero proprio la deriva gender che sta investendo il mondo dello sport. Da troppo tempo, infatti, innumerevoli federazioni sportive, squadre e associazioni femministe e conservatrici si battono contro provvedimenti statali e regolamenti sportivi che impongono una “fusione” tra sport maschili e femminili che non può esistere. In diversi Stati le atlete vengono letteralmente costrette a gareggiare contro uomini in un’evidente situazione di svantaggio, come nel caso del nuotatore “Lia” Thomas, che dagli ultimi posti nelle classifiche maschili nazionali statunitensi, ha rapidamente conquistato le vette delle classifiche delle gare femminili. In altri casi le atlete vengono messe in vere e proprie situazioni di pericolo, come nel caso del rugbista canadese Maeryn Gelhaus che, superati i 40 anni, aveva deciso di gareggiare nelle squadre femminili spingendo molte donne delle squadre avversarie a rifiutarsi di giocare per paura delle conseguenze.

Alle ultime Olimpiadi di Parigi abbiamo assistito al caso della pugile algerino Imane Khelif, che ha combattuto nella categoria femminile sbaragliando le atlete e vincendo la medaglia d’oro, nonostante i troppo alti livelli di testosterone presenti nel suo organismo, di fatto strappando il titolo del campione olimpico di pugilato femminile a quelle donne che hanno vissuto una vita di sacrifici e rinunce, per poi trovarsi sul ring contro un avversario con cui non potevano combattere ad armi pari.

Ma anche a casa nostra, in Italia, la deriva gender ha fatto capolino. Pensiamo infatti al primo atleta paralimpico transgender, ovvero l’italiano “Valentina” Petrillo, specializzato nella disciplina dell’atletica leggera, che ha gareggiato alle Paralimpiadi nelle competizioni femminili. Non ha ottenuto la qualificazione nella finale, ma resta comunque il fatto che, quando questo atleti gareggiano contro le donne, assecondano l’affermarsi di un’ideologia che pretende che uomo e donna non siano due generi differenti con evidenti differenze nella costituzione fisica, aprendo così la strada a proposte di legge come quella avanzata negli Usa dall’amministrazione Biden.

Con queste decisioni, dunque, si mettono in pericolo le stesse donne che si finge di difendere, quando invece basterebbe riconoscere quella che è sempre stata e sempre sarà la verità scientifica e biologica: ci sono due generi, uomo e donna, diversi fisicamente e biologicamente, che non potranno mai essere confusi.

 

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