Sull’8 Marzo, c’è ormai «tanta retorica». Le pari opportunità sono diventate una, in alcuni casi, pura questione formal-lessicale, poiché ci sono migliaia di donne che ancora non vedono riconosciuti i propri diritti sul lavoro e si ritrovano a dover scegliere tra famiglia e impiego. In occasione della Giornata Internazionale della Donna, Pro Vita & Famiglia ha sentito la giornalista e opinionista televisiva Hoara Borselli che, per l’occasione, ha anche espresso la sua solidarietà alla onlus a seguito degli atti vandalici compiuti all’ingresso della sede nazionale.
Cosa rappresenta la Giornata Internazionale della Donna oggi?
«C’è davvero tanta retorica soprattutto nel modo in cui questa giornata viene declinata oggi e per come le femministe la portano avanti. Invece di sostenere quelle che dovrebbero essere le vere battaglie per la donna, ci ritroviamo di fronte al dilagare di questo politicamente corretto a sfondo anche lessicale, per cui, ad esempio, l’assessore donna andrebbe chiamato “assessora”, con tanto di cambio di targhetta davanti all’ufficio. Poi si insiste tanto sul discorso del non offendere la donna con discorsi sessisti, distogliendo l’attenzione da problemi reali come le disparità sul luogo di lavoro. Si va così a depotenziare la reale forza della donna, perdendo tempo con le varie battaglie in nome del fluid, quando nessuno scende in piazza con la stessa forza in difesa dei veri diritti, in particolare in ambito lavorativo, dove la donna viene ancora penalizzata».
Sempre in tema di 8 Marzo, come commenta quello che è successo dopo il lancio dell’ultima campagna di Pro Vita & Famiglia?
«Rendiamoci conto della deriva a cui stiamo arrivando: cartelli pubblicitari che incitano alla vita vengono fatti rimuovere, perché ritenuti offensivi. Da quando in qua un bambino che nasce può essere ritenuto un’offesa così grave da urtare sensibilità? Stiamo arrivando a rinnegare il principio della maternità in nome dell’ideologico dogma “fluid”, che vuole cancellare le indiscutibili certezze dell’essere umano. Con l’aggravante, aggiungo io, che l’iniziativa arriva da una donna che, ovviamente, si fa chiamare assessora, con la A finale, perché una vocale combatterebbe le discriminazioni… E queste sarebbero le nuove paladine del politicamente corretto? No grazie! Da chi non ha rispetto per la vita, non accetto lezioni di morale».
A tal proposito, è d’accordo con l’affermazione per cui a molte donne viene negata la libertà di dedicarsi a tempo pieno alla famiglia o, quantomeno, di conciliare lavoro e famiglia?
«Purtroppo, in Italia non abbiamo una reale politica attiva nei confronti della famiglia e della donna. Troppo spesso per una donna, l’essere madre, diventa un enorme deterrente per il suo inserimento nel mondo del lavoro. Nel 2022, in una società che si definisca progredita, non è ammissibile il fatto che a un colloquio di lavoro venga chiesto: “hai figli o hai intenzione di farne?”. Un figlio non dovrebbe essere un ostacolo ma un valore aggiunto, eppure oggi, purtroppo, la maternità è vista come un ostacolo. Tutto questo perché mancano politiche attive e reali che intervengano a risolvere questo gap terribile, questo vulnus incredibile per la donna. Già sarebbe qualcosa poter avere degli asili a disposizione, invece si tratta di un lusso, poiché i pochi asili comunali sono strapieni, mentre gli asili privati hanno costi mensili che spesso equivalgono allo stipendio di una donna. Con il risultato che molte madri, piuttosto, rinunciano al lavoro per accudire i figli a casa. Si parla tanto di politiche per la natalità: il problema della denatalità sicuramente dipende molto dalla crisi ma dipende anche dal fatto che una donna oggi tende a fare un figlio in età più matura, anche a 40 anni, quando ormai ha una posizione lavorativa stabile: questo non dovrebbe accadere. Una donna dovrebbe essere libera di fare un figlio anche a vent’anni, quando si sta affacciando nel mondo del lavoro: una società degna di questo nome deve metterla nella condizione di avere un figlio, proprio perché un bambino è un valore aggiunto e sicuramente non un ostacolo».
Cosa ne pensa, invece, del cortocircuito Lgbt, per cui molte femministe (vedi il caso di J.K. Rowling) sono state accusate di transfobia, magari solo per aver affermato di essere fiere della loro femminilità?
«Mamma mia… qui siamo alla deriva del politicamente corretto, alla censura delle idee! È la deriva di questa narrazione per cui, se non siamo fluid, automaticamente diventiamo omofobe. Se oggi diciamo che l’uomo è uomo e che la donna è donna, veniamo discriminati. È una discriminazione al contrario, da parte di coloro che, per combattere le discriminazioni, discriminano chi (come me, ad esempio) non la pensa come loro e ritiene che il sesso biologico sia qualcosa che non debba essere messo in dubbio. Non vedo perché, quindi, io dovrei essere percepita come omofoba da chi si sente “fluido”, quando, tra l’altro, onestamente, non ho nemmeno capito cosa “fluido” voglia dire… Vallo a spiegare a un bambino cosa significhi questo concetto di fluidità, oltretutto già entrato nelle scuole. Trovo che sia una deriva pericolosissima e mi dissocio completamente dal coro delle femministe che lo sostengono. Cerchiamo almeno di non mettere in discussione la sessualità biologica: è l’unica certezza che abbiamo».