La scomparsa di Raffaella Carrà e le notizie su alcuni aspetti poco noti della sua vita in questi giorni si susseguono sui quotidiani e ci inducono ad alcune riflessioni.
Era una donna riservata e – al netto dell’essere diventata un’icona gay e pro-Lgbt – ha vissuto in un mondo in cui certi aspetti intimi non si sbandieravano con così tanta disinvoltura, e quindi apprendiamo forse ora per la prima volta che, essendosi dedicata così tanto al suo lavoro, a tal punto da essere conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, quando si sentì pronta per la maternità fu troppo tardi e il medico le disse di rassegnarsi, perché il suo fisico non lo consentiva.
Rassegnarsi. Una parola oggi dimenticata, vista con sospetto e diffidenza, oppure semplicemente accantonata perché scomoda, antica.
“Se non sono venuti cosa devo fare? Non mi sono mai accanita e ho accettato quello che madre natura ha scelto per me. La dimensione genitoriale, in fondo, si può vivere in tanti modi. Io, per esempio, non ho mai smesso di adottare bambini a distanza”
Sante parole quelle sulla maternità, Raffaella. Rassegnarsi. Accettare. E lei seppe gestire il desiderio, superare il dolore e la frustrazione riversando il suo amore materno sui suoi nipoti e sui tanti bambini che adottò a distanza. Oggi, invece, solo perché il cosiddetto progresso lo consente, cosa accade? Accade che il desiderio arriva a diventare un diritto, in nome del quale la natura si può e si deve forzare, superare, finanche detestare, a tal punto non solo di progettare e fabbricare un bambino che non si può o non si vuole concepire nel proprio grembo, ma anche arrivando a stravolgere con tanta facilità il proprio corpo e la propria identità.
La stessa Natura che da una parte si vuole difendere e preservare, dall’altra viene odiata, aggirata e superata.
Grazie, Raffaella. Per averci ricordato che il dolore e la mancanza possono essere accolti e sublimati dall’Amore.