11/04/2020

Aborti a domicilio. Boscia (Amci): «E’ una catena di smontaggio della vita nascente»

Durante l’emergenza coronavirus si è aperto il dibattito sul tema degli aborti e sulla possibilità che questi avvengano anche a livello domiciliare, fornendo alle donne che facciano richiesta le pillole per poter interrompere la gravidanza. Pro Vita & Famiglia ha chiesto un commento al professor Filippo Boscia, presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani (Amci).

Professor Boscia, un suo commento sul fatto che l’emergenza Coronavirus non abbia fermato le pratiche abortive e si paventa l’idea di aborti a domicilio.

«In questo momento si parla in modo improprio di una sorta di intralcio all’aborto. In realtà non esiste, ma c’è una vera e propria catena di montaggio a favore degli aborti, anzi oserei dire una catena di smontaggio della vita nascente e purtroppo lo si sta facendo con ostentata indifferenza ed è in atto una condizione che sta creando un terremoto emotivo. L’aborto in solitudine, l’aborto a domicilio è assolutamente qualcosa di inumano e a me preoccupa molto il fatto che in questo momento nel nostro Paese e in Europa stiamo registrando l’incapacità della prevenzione. Stiamo insomma manipolando l’inizio della vita senza problemi e senza disagi. Inoltre si sta facendo passare l’idea che l’inizio della vita sia diverso dal punto di vista qualitativo se si è al primo, al secondo o al terzo mese di gravidanza, mentre sappiamo che la vita nascente è un mistero ma allo stesso tempo una vita, appunto, ben chiara che va tutelata. In tutto ciò abbiamo una normativa che si può definire incivile perché non dà voce alla persona più debole, appunto il bambino. In questo momento storico, poi, la discussione non dovrebbe essere sul come fare l’aborto ma sul come prevenirlo e sul come stare vicino alle donne fragili. Inoltre sappiamo bene che la pratica dell’aborto fatta a domicilio pone tantissimi interrogativi sulla sicurezza sanitaria delle persone e qui la religione e la fede c’entrano ben poco, è una questione umana».

Appunto, su questo tema lei denuncia una palese insicurezza degli aborti, che rischiano di sfociare anche nella clandestinità.

«Assolutamente, perché l’aborto a casa è quanto di più incerto ci possa essere per una donna, inoltre si va a sminuire l’importanza delle decisioni della donna, poiché si va a banalizzare la gravidanza come una malattia da scacciare, anche a domicilio. Credo ci sia la necessità di trovare una mediazione perché anche la “medicalizzazione” eccessiva va a violare il corpo della donna e allo stesso tempo la banalizzazione sminuisce la salute tanto del feto quanto delle donne. L’embrione deve essere qualcuno. Non lo possiamo rendere qualcosa di cui ci dobbiamo sbarazzare. Io mi occupo da quarant’anni di sterilità umana e vivo con profondo dolore la condizione di molte donne che hanno avuto aborti passati e che poi ad un certo punto vorrebbero un figlio ma non posso avere una gravidanza. Si tratta di situazioni molto dolorose e con una corretta informazione verso le donne si potrebbe fare tanto per prevenire tutto ciò. Perché i numeri degli aborti parlano chiaro e possiamo dire di essere difronte ad una vera e propria strage, ma anche ad una mancanza di vicinanza e di giusto accompagnamento nei confronti delle donne».

Un’ultima battuta, sul contesto attuale. Si parla tanto di salvare le vite in pericolo per il nuovo Coronavirus, di fare tutto ciò che è possibile per assicurare cura adeguate. Parlare di aborti ad ogni costo, anche a casa, non è un messaggio completamente contrario alle speranze e alle necessità di vita che ci sono in questo momento così drammatico?

«In questo momento storico da parte di molta gente sembra esserci più umanità per una cucciolata di animali che non per un embrione umano nel grembo materno. È sacrosanto proteggere la vitae dare rispetto ad ogni essere vivente, umani e animali, ma spesso sembra che la vita umana sia relegata in secondo piano e meno importante. Siamo, purtroppo, in una incapacità di ammettere l’importanza della vita e questo ci porta alla cultura dello scarto. Una incapacità che si palesa, al contrario, proprio in questo momento drammatico perché nell’emergenza in cui versiamo non c’è stato mai da parte di nessuno la richiesta a non ricevere cure, a non essere attaccati ad macchina per respirare, a non farsi ricoverare o prestare tutto il supporto possibile. Nessuno ha mai detto di non garantire la respirazione artificiale o l’aiuto dei macchinari. Gli ospedali stanno facendo il massimo e dall’alta parte nessuno ha rifiutato la vita. Questo ci dovrebbe far riflettere sull’importanza della vita stessa e sul fatto che in condizioni normali la società moderna fa dimenticare questa importanza e queste priorità».

 

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