La pandemia e i suoi effetti rappresentano un gioco a somma positiva soltanto per la morte. I dati sono parziali ma alla data del 29 luglio, dall’inizio di quest’anno, gli aborti sono stati già 24.458.000. Se l’andamento sarà costante, si stima che, alla fine del 2021, le interruzioni di gravidanza si attesteranno tra i 44 e i 45 milioni. A metà anno, quindi, la cifra è inferiore, ma non troppo lontana dal totale dei morti a livello globale, che, dall’inizio dell’anno, ha superato i 34 milioni. A confermare questi numeri è il sito Worldmeters.info, che quotidianamente e istantaneamente, aggiorna tutti i dati demografici disponibili.
Premesso che, statisticamente, gli aborti non sono inclusi tra le cause di morte ma figurano in una categoria a parte, il loro numero sovrasta abbondantemente tutti gli altri. Da gennaio 2021, sono stati “soltanto” 7.446.535 i morti per malattie infettive, 4.711.104 i morti per cancro, 4.360.103 i bambini morti prima del compimento del quinto anno d’età, 2.867.558 i morti a causa del fumo, 1.434.685 i morti a causa dell’alcol, 774.334 i morti per incidenti stradali, 615.126 i suicidi, 226.203 i morti per malaria, 177.299 le donne morte di parto.
Se si tiene conto che le vittime in un anno e mezzo di pandemia di Covid-19 sono state circa 4 milioni alla data dell’8 luglio, la conclusione che se ne trae è che nei primi sei mesi di quest’anno, l’aborto ha fatto un numero di vittime superiore di 5 o 6 volte alle vittime totali di Covid, dall’inizio della diffusione del virus.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, che pure, giustamente, sta combattendo il Covid, considera evidentemente i morti per aborto come “figli di un Dio minore”. Sarebbe sorprendente, al contrario, se l’aborto fosse considerato un problema. Nel suo documento Clinical management of severe acute respiratory infection (SARI) when COVID-19 disease is suspected, diffuso nel marzo 2020, proprio all’inizio della pandemia, l’OMS, difatti, ribadiva: «Le scelte e i diritti delle donne in materia di salute sessuale e riproduttiva dovrebbero essere rispettati indipendentemente dallo status di Covid-19, includendo l’accesso alla contraccezione e all’aborto sicuro nella misura massima consentita dalla legge».
Una linea, quella dell’OMS, sposata in pieno dalla maggior parte dei governi nazionali, compreso quello italiano. Il Ministro della Salute, Roberto Speranza – e con lui il premier Mario Draghi e il predecessore di quest’ultimo, Giuseppe Conte – ha sempre giustificato le misure restrittive da marzo 2020 con l’obiettivo del salvare il maggior numero di vite umane dal Covid. Speranza, tuttavia, è lo stesso ministro che ha allargato il “diritto all’aborto”, estendendo l’uso della Ru486, proprio con la scusa della pandemia. Un cane che si morde la coda. Due pesi e due misure. Mors tua, vita mea. Nell’ottica del ministro Speranza tutte le vite sono preziose ma alcune sono più preziose di altre. Sicuramente tra le prime non vi sono quelle dei nascituri…