Questa è la testimonianza di un sindaco di un piccolo paesino di provincia (lista civica), che si è trovato e tutt’ora si trova a discutere e scontrasi con la dura realtà fatta di silenzi e falsità riguardo la vita e la sua difesa
Per la politica, quella nazionale ma anche quella locale, a tutte le latitudini, la delicatezza del tema aborto imporrebbe il silenzio: meglio non trattare l’argomento, che si maneggia male – poco meno di una barra di uranio; perché chi lo tocca ci resta secco. Politicamente, s’intende.
Chi scrive non ha alcuna autorevolezza morale per fregiarsi di qualche titolo; lo dico perché, di recente, presenziando come sindaco di una piccola comunità a un appuntamento pubblico dove si parlava anche di altro, una volta sollevata la questione della 194 mi è stato detto che avrei fatto meglio a tacere perché, citando il Vangelo, siamo solo poveri servi. Citazione corretta, ma fuorviante: essere servi non comporta il tacere su argomenti più grandi di noi, come mi disse a conclusione del rimbrotto il prof. Pombeni, docente di Storia Contemporanea all’Università di Bologna, relatore all’appuntamento in questione.
La tentazione di non tacere nasce in me – come in tanti altri, credo – dalla percezione sentimentale del dramma dell’aborto di Stato. Uno Stato che è (o vorrebbe essere) la concretizzazione dell’etica pubblica, ma che aggredisce la vita alla sorgente non può chiederci anche il silenzio sul tema; né può chiedermelo il prof. Pombeni, con tutto il rispetto.
I cascami del comunismo e del nazismo, nella Storia, culminano nell’aborto di Stato: è il loro frutto più maturo ed efficace. Chi fa politica lo sa, ma normalmente fa finta di non saperlo. Ci vorranno decenni, ma come scrisse Falcone a proposito della mafia, anche l’aborto di Stato passerà, come tutte le cose umane.
Infine una citazione antropologica: forse è vero che i sistemi patriarcali si fondano sulla guerra, dove uomini maturi mandano i più giovani a morire a fini di potere, mentre quelli matriarcali sull’aborto legalizzato – dove sono le donne a decidere chi nasce (chi vive) e chi no; difficile scegliere, se la mettiamo così. Difficile davvero. La proposta di buon senso, direi quasi antropologically correct, per non fare gerarchie di genere, è la seguente: e se ci inventassimo una società né patriarcale né matriarcale, dove non c’è da scegliere tra guerra e aborto legalizzato, ma dove si difende la vita, rifiutando sia la guerra sia l’aborto di Stato? Credo che sia esattamente ciò che ci aspetta in futuro.
Meditiamoci sopra, e poi agiamo.
Un sindaco di provincia