04/01/2015

Aborto e libertà

Gli abortisti del Regno Unito hanno avviato una nuova campagna che mira a limitare la libertà di espressione e di parola al di fuori delle cliniche dove si pratica l’ aborto (dove i sidewalk counselors salvano la vita alle donne, oltre che ai bambini).

Ma questa è solo una delle tante assurdità legate al dibattito sull’aborto nel Regno Unito.

Sulla strada della censura operano diverse università britanniche, a cominciare dalla prestigiosa Università di Oxford, dove di recente è stata aperta una polemica sull’argomento: non si possono esprimere opinioni negative sull’aborto.

L’Università di Cardiff ha recentemente discusso se a un’associazione pro-life fosse possibile esporre le sue idee, mentre l’Università di Dundee è arrivata ad escludere un gruppo pro-vita dalla giornata delle matricole a causa del loro materiale “altamente offensivo”.

Non tutti forse sanno che il 98% degli aborti britannici sono effettuati per salvaguardare la salute mentale delle donne (cosa che può prestarsi a centinaia di interpretazioni diverse) e che la legislazione inglese consente questa pratica abominevole fino alla 24esima settimana di gravidanza: ogni giorno, i medici britannici autorizzano oltre 1000 aborti con la scusante dei motivi di salute mentale della donna.

In realtà, il 98% degli aborti praticati nel Regno Unito oggi è illegale. Infatti, vengono praticati da medici che non conoscono la legge (The Abortion Act, 1967) o che addirittura sono deliberatamente in malafede. Di fatto un motivo valido per abortire è anche il sesso del bambino!

Sebbene poi l’Abortion Act preveda espressamente l’obiezione di coscienza degli operatori sanitari, diversi sono i casi in cui coloro che la esercitano vengono discriminati ed osteggiati.

Persino in politica la libertà di parola viene calpestata. Dopo essere stata ridicolizzata dal Primo Ministro, la parlamentare Nadine Dorries è stata vittima di bullismo e molestie da attivisti pro-aborto per aver parlato di questo argomento in Parlamento.

La deputata infatti ha voluto raccontare la sua esperienza diretta: in qualità di ex infermiera, si ha visto tanti bambini nati vivi dopo aborti falliti ed ha assistito a tanti aborti riusciti, vedendo con i propri occhi il totale disprezzo per la vita umana.

La libertà di espressione è stata negata anche al gruppo pro-life Abort67. Uno dei suoi membri, Andy Stephenson, è stato rinchiuso 12 ore in carcere per aver semplicemente mostrato la foto di un bambino abortito in pubblico. Ma se questo è un reato, come si dovrebbe qualificare il comportamento di coloro che commettono quotidianamente questo atto abominevole?

Recentemente, un ex abortista britannico ha raccontato la sua esperienza di lavoro nel settore dell’aborto: anch’egli è stato vittima del “bullismo abortista”. Secondo questa fonte,  l’industria dell’aborto è molto lucrosa: le cliniche della morte non pagano le tasse perché sono considerate “enti di beneficenza”; impiegano medici ed infermieri a salari bassissimi e si approfittano di ragazze vulnerabili provenienti spesso dalle zone più povere di Irlanda, Scozia ed Inghilterra.
Le decisioni mediche vengono prese da dirigenti che non sono medici, ma veri e propri imprenditori guidati solo dal dio denaro. I dipendenti sono costretti a firmare moduli di consenso, spesso senza aver visto la paziente.

Ma questo è niente in confronto a quanto accaduto in una clinica abortista di Manchester, la Marie Stopes, dove un operatore sanitario ha denunciato un fatto agghiacciante: uno dei suoi colleghi ha molestato sessualmente una donna durante una procedura abortiva!
Un altro episodio terribile è avvenuto in una clinica di Londra, dove una donna è morta durante un intervento abortivo; la clinica ha chiuso per un paio di giorni per poi tornare al lavoro come se nulla fosse accaduto.

Non c’è da stupirsi quindi che gli abortisti non vogliano che venga divulgato cosa accade nelle loro cliniche. Si fanno chiamare “pro-choice”, perché a parer loro offrono alle donne in crisi una scelta: abortire – e loro guadagnano centinaia di sterline (per lo più pagate dai contribuenti). Questo sarebbe scegliere? Altro che “pro-choice”!

Quello che offrono le associazioni pro-life è davvero la possibilità di scegliere la vita: supporto psicologico, amicizia, consigli pratici, sostegno finanziario, un posto dove alloggiare.
Chi davvero offre alla donna una reale scelta?
Davanti a questi fatti emerge chiaramente che la verità sull’aborto mette in seria difficoltà molte persone, e che la maggioranza delle democrazie occidentali (compresa la nostra) non sono disposte ad avere un dibattito chiaro e onesto sull’aborto.

Fonte: https://www.lifesitenews.com/opinion/free-speech-and-abortion

 Laura Bencetti

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