Epidemia di coronavirus: tutto chiude, a tutti è raccomandato di restare a casa, ma gli aborti proseguono, come se fossero “essenziali” e “urgenti”. Anzi, per non far uscire di casa le donne, si promuove l’invio delle pillole abortive a casa. Un’idea a favore della donna? No, perché l’aborto farmacologico «moltiplica per dieci volte il rischio di morte per aborto e nel 2014 due giovani donne sono morte anche in Italia», spiegavamo presentando anche i gravi rischi alla salute della donna della procedura chirurgica.
«L'esperimento TelAbortion, approvato dalla Food and Drug Administration (FDA), invia farmaci aborto alle donne in 13 stati», leggiamo su Life News. Ciò significa che molte volte potrebbero non vedere neanche un medico prima di abortire. Si devono far bastare la “telemedicina”, per poi abortire da sole.
E questo sarebbe “l’aborto sicuro”, come lo chiamano? Una donna sola, senza che qualcuno le offra alternative, abbandonata a possibili conseguenze negative dell’assunzione di quelle pillole. Ben 24 donne sono morte dopo l’assunzione del mifepristone e 4000 sono andate incontro a gravi infezioni, emorragie (anche con conseguente necessità di trasfusione), forti dolori addominali, gravidanze extrauterine o bisogno di ricovero.
«Inoltre, le vendite online di farmaci abortivi sono collegate agli aborti forzati. Una donna di New York è indagata dopo aver venduto farmaci abortivi a un uomo accusato di aver tentato di costringere la sua ragazza ad assumerli».
E abbiamo ancora il coraggio di chiamare “aborto sicuro” una pratica che - dati i rischi che comporta e le condizioni in cui viene effettuata -, seppur legale, è estremamente simile all’aborto clandestino? Basta chiamare l’aborto “assistenza sanitaria”: c’è un bambino che muore e una donna che rimane esposta a seri rischi per la sua salute fisica e psichica. Smettiamola di mentire alle donne, dicendo che l’aborto le tutela.