23/08/2013

L’aborto ferisce anche il cuore maschile

Parliamo ancora di un tema molto sottovalutato in Italia: la sindrome post aborto che colpisce gli uomini. Riportiamo un articolo apparso sul sito Vita Pastorale, in cui Antonello Vanni espone ampi stralci del libro “Lui e l’aborto” dedicato al tema in questione

Lungi dall’accettare la passività tipica del mondo occidentale “senza padre”, alcune associazioni stanno sensibilizzando gli uomini su come affrontare il trauma post abortivo.

Perché occuparsi di un tema delicato come la relazione tra l’uomo e la vita concepita di fronte alla scelta dell’aborto? Le ragioni sono molte e le ho spiegate nel libro Lui e l’aborto. Viaggio nel cuore maschile (San Paolo 2013, pp. 192, € 16,00). Prima di tutto una domanda: dove erano, e dove sono, i padri degli oltre cinque milioni di bambini non nati dopo il varo della legge 194/78 che ha legalizzato l’interruzione di gravidanza in Italia? Di loro non sappiamo nulla, anche perché nessuna documentazione, almeno statistica, al riguardo esiste.

Anzi: proprio la legge 194/78 ha da subito chiarito nel suo articolo 5 che il padre, laddove la madre intenda ricorrere all’aborto, non conta nulla, non può dire la sua opinione, specialmente se contraria all’uccisione di una vita alla cui origine ha dato inizio insieme alla madre. Fatto ingiusto che, già dai primi anni, molti giuristi criticarono con forti dubbi sulla legittimità costituzionale di questa norma pregiudicante il diritto alla paternità del genitore e il principio di uguaglianza dei coniugi sancito dalla Costituzione.

Non solo: questi commentatori sottolinearono anche l’incomprensibilità di una legge che da un lato aspira a valorizzare ogni intervento capace di favorire la maternità e la vita del bambino, mentre dall’altro esclude un contributo, come quello del padre, che può essere decisivo anche in senso positivo. Sì, perché nonostante i pregiudizi negativi sulla figura maschile («L’uomo mette incinta la donna e poi se ne va o la lascia sola di fronte a una scelta terribile»), ci sono stati e ci sono anche uomini che quel bambino avrebbero voluto salvarlo.

Ma, a parte casi rari di cronaca in cui ciò è felicemente accaduto, di solito l’uomo non ha il diritto di essere informato, non è richiesto il suo consenso, non ha voce in capitolo sulla vita o sulla morte del bambino. Con conseguenze psicologiche anche gravi: diversi studi infatti riportano che nell’uomo esiste una reazione negativa all’aborto simile a quella riscontrata nella donna.

Questa sofferenza è stata chiamata trauma post abortivo maschile (Male Postabortion Trauma): una reazione a catena che erode l’identità personale maschile, da un lato minandone l’autostima («Non valgo nulla perché non ho saputo impedirlo »), dall’altro soffocandola con il senso di colpa e il rimorso che ne deriva («È colpa mia, l’ho voluto io, sono un assassino e devo pagare»).

Non solo: in questo processo psicologico negativo viene impedita anche la maturazione di una compiuta identità di genere. Infatti, per il maschio, contribuire al concepimento di un figlio significa vivere il nucleo centrale della virilità, dell’essere davvero uomini: la capacità, intesa anche come forza e potenza, di avviare il processo vitale di un altro essere umano.
Trauma post abortivo maschile

L’aborto vanifica quest’esperienza interrompendo, spesso in modo definitivo, il passaggio alla maturità: «E quindi io non sono/non sarò mai un uomo, né un buon padre». I sintomi del trauma post abortivo maschile si manifestano negli uomini in modo complesso, spesso in relazione al ruolo che hanno avuto nella scelta abortiva. Ad esempio, i padri che hanno convinto la donna ad abortire possono provare un forte rimorso per il senso di colpa, mentre quelli che hanno tentato inutilmente di salvare il bambino possono essere vittime del senso d’impotenza.

Gli psicologi, che hanno raccolto interi dossier di testimonianze maschili e svolgono un’opera terapeutica per curare questi uomini, hanno diviso tali sintomi in precise categorie per meglio comprenderle. Sono state così descritte sofferenze psicologiche, talvolta gravi, legate alla rabbia e all’aggressività, all’impotenza e incapacità di reagire, al senso di colpa, all’ansia, ai problemi di relazione, al lutto causato dalla perdita.

In realtà di questi temi in Italia non se ne sa nulla, ben diversamente da altri Paesi in cui invece l’ascolto del maschile trova più attenzione. Come mai? Come ha fatto notare Claudio Risé nella sua prefazione al mio libro, il tabù posto sulla relazione tra i padri e i figli abortiti, in omaggio al principio stabilito ideologicamente secondo cui «l’aborto riguarda solo le donne », ha boicottato studi e ricerche, e quindi la raccolta di dati su questo argomento. Per questo ho dovuto ricavare informazioni dalla ricerca scientifica internazionale, molto più sensibile nel rilevare queste problematiche come nell’affrontarle dal punto di vista psicoterapeutico per curarle.

 

Qualcosa di nuovo però sta accadendo anche in Italia: da qualche tempo, l’opinione pubblica italiana ne sta prendendo maggiore coscienza. E questo grazie al contributo di una parte del mondo maschile che, lungi dall’accettare la passività tipica del mondo occidentale senza padre, e in un’ottica di riappropriazione di un’autentica identità maschile, ha attivato un’opera di sensibilizzazione destinata a informare gli uomini, che hanno vissuto l’aborto, sulla realtà del trauma post abortivo maschile.

È il caso, ad esempio, dell’associazione culturale “Maschi selvatici” con l’opuscolo Hai perso tuo figlio per l’aborto? Uomini e aborto. La verità che nessuno ti dice (scaricabile in www.maschiselvatici.it/index. php?option=com_content&vie w=article&id=937:hai-perso-tuo-figlio- per-laborto&catid=107:abortonel- cuore-del-maschio). Esso da un lato informa gli uomini sulla natura del trauma post abortivo maschile, dall’altro indica alcune strade che i maschi sofferenti possono seguire per curarsi, riconciliarsi con sé stessi e con il mondo dopo un evento tanto terribile quale la morte del proprio figlio mediante l’aborto.

«Rivelando e rivivendo in terra la stessa paternità di Dio, l’uomo è chiamato a garantire lo sviluppo unitario di tutti i membri della famiglia».

Paternità più responsabile
Ci si potrebbe infine chiedere: chi sono i destinatari di un libro che parla dell’uomo e dell’aborto? Di certo gli uomini: perché diventino consapevoli della loro importanza nel dare la vita e maturino un sentimento della paternità più responsabile. Poi le donne: perché colgano quanto sia importante coinvolgere gli uomini in una decisione che può cambiare il valore della loro relazione, oltre a determinare la vita di un altro essere umano indifeso e totalmente dipendente dalle loro scelte.

Infine il libro è per chi, in vari modi (consultori, Centri aiuto alla vita, ecc.), si occupa delle coppie che aspettano un figlio e sono indecise se farlo nascere o no: interpellare la figura maschile, tralasciando i pregiudizi da cui è stata investita in mezzo secolo di campagne abortiste, può essere uno strumento efficace per salvare tanti bambini. Spesso le coppie decidono di abortire perché l’uomo ha perso il lavoro e si teme di non poter affrontare economicamente il futuro, tuttavia ho raccontato casi in cui gli operatori dei Cav hanno aiutato i padri a trovare un’occupazione e i bambini sono felicemente nati.

Lui e l’aborto. Viaggio nel cuore maschile in definitiva è proprio per loro, per tutti i bambini che prima di nascere rischiano «di cadere nel nulla» (Hans Jonas): auguro loro di venire al mondo, grazie a padri e madri davvero amorevoli, orgogliosi di dire sì alla vita. Come ha detto Giovanni Paolo II: «Rivelando e rivivendo in terra la stessa paternità di Dio, l’uomo è chiamato a garantire lo sviluppo unitario di tutti i membri della famiglia: assolverà a tale compito mediante una generosa responsabilità per la vita concepita sotto il cuore della madre» (Familiaris consortio 25).

Antonello Vanni

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