Il tema dell’aborto è uno dei più divisivi, tanto in Italia quanto – lo vediamo anche dai fatti di cronaca – negli Stati Uniti. La vita nascente genera un dibattito così delicato che spesso – purtroppo, troppo spesso – si travalicano i limiti del confronto, arrivando ad agire, anche con violenze fisiche, contro chi osa contraddire il pensiero unico.
Stati Uniti, abbiamo detto, ma anche Roma, Torino. Insomma, anche a casa nostra la violenza la può fare da padrona e chi ne fa le spese – fatti di cronaca alla mano – siamo noi prolife. E proprio le violenze e le censure subìte (o la minaccia di subirle) ci hanno fatto ricevere, e per questo lo ringraziamo, l’autorevole difesa - sulla prima pagina de La Stampa di oggi - del magistrato e già giudice alla Corte Europea dei Diritti Umani Vladimiro Zagrebelsky, di cui si può dire tutto fuorché la simpatia per le nostre posizioni. Parole che, al contempo, ci fanno tanto tirare un sospiro di sollievo quanto non riducono la preoccupazione di chi è spesso attaccato violentemente per le sue opinioni.
Da una parte, infatti, quanto scritto da Zagrebelsky ci fa ben sperare che un dialogo e un confronto costruttivi sono ancora possibili, anche con chi la pensa in modo diametralmente opposto. Dall’altra, però, ci chiediamo – ma la domanda è retorica – perché l’intervento di Zagrebelsky si è reso necessario. Perché occorre ribadire l’ovvio? Perché occorre ribadire un diritto inviolabile come la libertà di parola? Perché occorre, in un Paese che si dice civile, nel XXI secolo, difendersi da chi vuole letteralmente mettere a tacere?
La domanda, lo si è detto, è retorica perché tutto è presto spiegato. A Torino, infatti, Pro Vita & Famiglia ha proseguito una campagna di affissioni in favore della Vita che già nei mesi scorsi aveva interessato Roma e altre città italiane. Si tratta, infatti, della stessa campagna brutalmente censurata dalla giunta di estrema sinistra di Roberto Gualtieri a Roma. Ecco subito partite le invettive di politici, militanti e associazioni pro-aborto. L’Assessore alle Politiche Sociali e Pari Opportunità di Torino ha definito la nostra iniziativa «orrenda, reazionaria e anti-storica», mentre il collettivo di Non Una Di Meno ne ha chiesto la censura invitando i suoi adepti a rimuovere e imbrattare i manifesti, in pieno delirio fascio-femminista.
Dalle parole, che come difendiamo per noi stessi sono sacre come la libertà di esprimerle, si è dunque passati alle minacce e alle proposte concrete di censura: ovvero quelle di far rimuovere i manifesti. Cosa, lo abbiamo detto, già successa in modo vergognoso a Roma.
Allora vogliamo usare non le nostre parole – che sarebbero ovviamente di parte – ma proprio quelle di Zagrebelsky: «si tratta di grandi manifesti che riproducono l’immagine di un feto cui si aggiunge la scritta: “Potere alle donne? Facciamole nascere”. È un messaggio che non ha nulla di violento o offensivo». Appunto. Per un messaggio non violento e inoffensivo la scure della censura (romana) si è già abbattuta su di noi (anche anni fa), mentre quella torinese minaccia di farlo. In più, come se non fosse bastato, sempre nella Capitale noti collettivi femministi hanno assaltato e vandalizzato la sede, i muri e le vetrine di Pro Vita & Famiglia. E allora riprendiamo di nuovo le parole del magistrato e giurista torinese, per spiegare cosa vorrebbe fare certa politica e certo associazionismo pro aborto: «invece di contrapporre argomenti, vogliono zittire chi pensa diversamente: quei manifesti, dicono, sarebbero offensivi di una legge e della libertà di scelta. Chiedono di vietarli. Ma la critica delle leggi è libera». Appunto. Ecco la violenza che vorrebbe ledere, qui in Italia, un diritto fondamentale, nonostante la critica delle leggi sia ovviamente libera, «così come – è sempre Zagrebelsky a parlare - lo è la proposta di modificarle, per restringerne la portata o per allargarla. Non solo, ma libera è anche la propaganda diretta a non usufruire di possibilità che la legge ammette».
Ci auguriamo che il commento pubblicato su La Stampa possa stroncare sul nascere qualsiasi tentazione giacobina del Sindaco di Torino, contro cui, ovviamente, agiremo per vie legali se dovesse rimuovere i manifesti come accaduto a Roma. Le parole di Zagrebelsky, infatti, ci ricordano che «come scrive la Corte europea dei diritti umani nelle sue sentenze la libertà di espressione vale non soltanto per le “informazioni” o le “idee” che sono accolte con favore o sono considerate inoffensive o indifferenti, ma anche per quelle che urtano, colpiscono, inquietano lo Stato o una qualunque parte della popolazione. È questa un’esigenza propria del pluralismo, della tolleranza e dello spirito di apertura senza i quali non esiste società democratica. Qualunque posizione si abbia sul tema dell’aborto – conclude Zagrebelsky - in difesa della libertà di opinione e di espressione, in difesa della democrazia, c’è da sperare di non dover assistere ad un atto di censura da parte della autorità pubblica».
Le campagne e le affissioni di Pro Vita & Famiglia urtano, colpiscono o inquietano? Beh, forse sì. Forse urtano, colpiscono e inquietano chi vorrebbe fare della propaganda abortista l’unica e sola voce degna di essere divulgata. Ecco perché siamo ancora più soddisfatti che le nostre iniziative, inoffensive e non violente, riescano ogni volta a mantenere vivo il dibattito sull’aborto e mettano in luce l’enorme pericolo per la libertà di opinione ed espressione del popolo pro-life.