In Spagna non occorrerà più alcun consenso dei genitori per abortire se si hanno soltanto 16 o 17 anni. È quanto stabilito scandalosamente dalla Corte costituzionale spagnola grazie ai 7 voti dei magistrati progressisti rispetto ai 4 contrari espressi dai giudici conservatori. A nulla purtroppo è servito il ricorso presentato dal partito di estrema destra Vox, il quale ha evidenziato come una modifica siffatta della normativa violasse di fatto anzitutto il diritto alla vita del bimbo nel grembo materno, oltre ad alcuni principi cardine della stessa costituzione iberica, quali uguaglianza, libertà e pluralismo.
D’altra parte l’Alta corte non è nuova a simili pronunciamenti proni all’ideologia abortista, dal momento che già lo scorso anno aveva espresso parere positivo rispetto alla modifica promossa da Zapatero dell’eliminazione dell’esigenza di un consenso dei genitori per le minorenni di 16 e 17 anni intenzionate ad abortire il figlio in grembo, laddove nel 2015 il governo d’ispirazione conservatrice guidato da Rajoy rilevava il contrario, ossia la necessità di tale consenso genitoriale.
Nel testo della sentenza i magistrati spagnoli ribadiscono inoltre che gli ospedali pubblici dovranno costituire il polo di riferimento per le madri in attesa che vogliano abortire e anticipano che sarà anche realizzato un registro del personale sanitario obiettore di coscienza, alla stregua di un Index, allo scopo di evitare ogni dovere di informare le donne intenzionate ad abortire sulle prestazioni di aiuto e sostegno alla maternità e così da non dar loro neanche la possibilità dei consueti tre giorni di riflessione previsti proprio per considerare di salvare e accogliere la vita del figlio in grembo.
Insomma, si assiste ancora una volta al paradosso che, proprio in nome della libertà, a una mamma che attende il suo bambino, non si lascia altra scelta che quella di abortire, spingendola in un vicolo cieco che non le offre alcuna possibilità di scoprire la bellezza della maternità e la preziosità della vita del figlio.
Purtroppo anche in Italia il dibattito - diventato centrale persino nelle agende politiche internazionali, come al recente G7 - resta monopolizzato quasi unilateralmente dalle menzogne del ‘politicamente corretto’, per cui si racconta che vi sarebbero donne costrette ad accogliere la vita e poi non se ne trova una che sia stata davvero costretta a farlo; ci si lamenta che gli obiettori di coscienza sarebbero troppo e poi si fa fatica a trovare madri cui sia stato concretamente impedito il ricorso all’aborto. Per non parlare dei consultori che sono tutt’altro che luoghi in cui si applichi pedissequamente l’articolo 2 della legge 194, nei quali spesso l’unica strada che si propone a un’adolescente con gravidanza indesiderata è proprio la pillola abortiva o l’aborto, senza preoccuparsi di favorire la sua consapevolezza della vita del figlio in grembo, né tanto meno di suggerirle le opportunità concrete di aiuto e sostegno alla maternità, scarse sì ma comunque esistenti.
In un simile contesto culturale risultano allora assolutamente necessarie manifestazioni quali quella di sabato scorso “Scegliamo la vita”, che ha portato per le strade di Roma migliaia di persone per ridestare nella coscienza collettiva l’importanza di tutelare e promuovere il diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale, perché senza tale diritto viene meno ogni altro diritto umano e ciascun discorso sui ‘diritti civili’ rimane pure velleità salottiera senza alcun fondamento.