In Redazione è giunta questa lettera. Un inno alla speranza, una risposta a chi dice troppo facilmente che l’aborto è la risposta... un inno alla vita:
con tanti auguri di Buon Natale.
Ho 36 anni. Sono una mamma felice di 3 splendidi maschietti. Le mie gravidanze non sono state semplici, ma rischiose, eppure alla fine ha vinto la vita.
Cercherò di riassumere per quanto possibile.
La mia prima gravidanza è andata male perché a 12 settimane ho avuto un aborto interno. Dopo un paio di mesi ho scoperto di essere nuovamente in attesa. Lo stesso giorno in cui ho fatto le analisi e ho ricevuto il positivo, ho scoperto di aver contratto la varicella.
All’inizio sembrava che non fosse nulla di grave anche perché il ginecologo che mi seguiva non aveva avuto nessun caso del genere ma, dopo alcuni giorni lo stesso medico ci chiama d’urgenza per dirci che c’era un alto rischio che il bimbo potesse nascere senza mani, senza pelle, con organi o ossa deformate perché la varicella poteva intaccare un essere in divenire.
Da qui la sentenza più ovvia: abortire o proseguire facendo analisi più approfondite.
Senza pensarci sono andata avanti con tante difficoltà sicura che se quella vita lottava con me io avrei fatto altrettanto. Siamo stati seguiti sia a Salerno, dove viviamo, che a Roma al policlinico “Gemelli”.
Nessuno ci rassicurava: anzi, se si escludeva una situazione, se ne proponevano altre possibili, fino a che per fugare ogni dubbio ho fatto l’amniocentesi. Intanto la pancia cresceva ma io la nascondevo perché non volevo che gli altri mi riversassero addosso le loro considerazioni gratuite del tipo “chi te l’ha fatto fare?”.
Dopo aver atteso, quasi a 6 mesi di gravidanza, l’esito dell’amniocentesi, ho saputo che la varicella non era passata al bimbo.
Nonostante questo, i medici continuavano a mettere le mani avanti, dicendo che sarebbe potuto nascere comunque con problemi.
Alla fine il mio bimbo è nato un po’ prematuro ma sano e bello, e questo io lo considero il mio primo miracolo.
Dopo un paio di mesi scopro di essere di nuovo in attesa e questa volta, più della precedente, il ginecologo è molto duro e severo perché avendo subito un parto cesareo, non rischiava solo il mio bimbo, ma anche io, in quanto c’era la possibilità che si aprisse la ferita e che si rompesse l’utero. Quindi pure la mia vita era a rischio.
Anche qui la proposta più logica: abortire. Ma, come per la prima gravidanza, ho scommesso sulla vita.
Sono stata a letto per quasi tutta la gravidanza con medicinali e un bimbo di pochi mesi con me. Ad ogni visita il ginecologo mi diceva che quel bimbo non sarebbe nato, ma io non ho voluto crederci.
Anche il mio secondo maschietto è nato prematuro e il giorno in cui è venuto alla luce ha avuto un problema ai polmoni. Ci hanno detto che c’era il 50% di possibilità che non avrebbe superato la notte.
È stato in terapia intensiva 40 giorni con un’infinita serie di analisi, ma poi mio marito ed io lo abbiamo portato a casa.
I miei ometti oggi hanno 7 e 6 anni e da sei mesi sono mamma di un altro maschietto.
I miei figli sono il mio tesoro più grande, non mi sento una mamma coraggiosa ma solo una mamma immensamente felice per i doni ricevuti.
Vi chiedo di non pubblicare il mio nome, ma la mia storia, se ne avrete piacere: spero possa dare speranza a tutte le donne che vivono gravidanze difficili.
Una mamma