Un’altra testimonianza, un ‘altra storia di vita e di morte sulla sindrome post aborto.
Non saranno mai troppi questi libri. Perché i media, che non perdono occasione, di solito, di schierarsi a favore della donna e contro tutti i “femminicidi”, di fronte al trauma post abortivo, tacciono, o addirittura negano. Serve allora qualcuno per “dar voce a chi non ha voce”.
Si cerca di far passare l’aborto per un diritto, si continua pervicacemente a voler ignorare che esso è un delitto, non solo nei confronti del bambino, ma anche nei confronti della madre. Chi abortisce non è una “donna” che ha “evitato la maternità”: è comunque una “madre” dal momento in cui resta incinta. Dopo l’aborto sarà la “madre di un bambino morto”, ucciso da lei stessa.
Ecco la presentazione che ci ha inviato l’autrice, Antonella Perconte Licatese:
“Anna è una donna come tante: una vita scandita dai ritmi ordinari del paese in cui abita da sempre, un lavoro di insegnante, un marito, due figli.
Eppure il ricordo indelebile di un aborto compiuto molti anni prima rischia di compromettere per sempre i delicati equilibri familiari e la sua stessa salute.
Attraverso un sofferto ma necessario percorso di riconoscimento del volto umano di quel figlio mai venuto alla luce, compiuto nella forma di un dialogo straziante e coraggioso, Anna riuscirà a sfuggire alla forza di gravità del male che vorrebbe trascinarla a fondo e a conoscere la potenza redentrice del perdono.
Nel racconto della protagonista un’esperienza interiore estrema, persuasiva, in cui molti degli argomenti che hanno corso nella nostra società a proposito dell’aborto sono vagliati al fuoco della ragione e del cuore di una donna e di una madre.”
Redazione
DIFENDIAMO I BAMBINI E LA FAMIGLIA DAI TENTATIVI DI
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