Una delle più grandi ipocrisie messe in atto dagli ambienti “pro choice” è quella dei cosiddetti limiti all’aborto. In effetti, nella gran parte delle leggi che permettono (o incoraggiano) l’aborto – ma non in tutte – si trovano dei limiti temporali precisi. Come i famosi primi 90 giorni di gestazione della legge 194 in Italia.
Da parte pro life si è sempre argomentato, seguendo scienza e coscienza, che quei limiti sono assurdi, in un duplice senso. Sia perché moltissime volte non vengono rispettati dalla prassi medica, sia perché le stesse leggi che li fissano ammettono delle eccezioni per scavalcarli e ignorarli.
Ma soprattutto perché quei limiti – di 2, 3 o 4 mesi – non hanno alcun senso e alcuna legittimità scientifica, visto che dal concepimento alla nascita l’essere umano si sviluppa come un continuum senza alcuna sosta o alcun salto improvviso.
L’India, come riporta Il Sussidiario, ha appena permesso, per motivazioni inaccettabili, un aborto all’ottavo mese di gravidanza. Ovvero a cuore battente e possibilità di vita extra-uterina. Dando ragione a chi non crede al senso dei limiti legali per abortire.
Così, sebbene anche in India esista sulla carta un limite all’aborto legale, l’Alta Corte di Delhi ha comunque autorizzato una donna ad abortire alla 33esima settimana di gravidanza. E la ragione invocata è di tipo eugenetico. Gli esami medici, infatti, avrebbero «evidenziato che il feto soffrisse di anomalie cerebrali che fino a quel momento non erano state osservate e comunicate».
Su questa base etica, o meglio anti-etica, la Corte ha fatto un’eccezione alla legge scritta. Anche perché, secondo i giudici, «la decisione definitiva di partorire e di dare o meno una vita dignitosa a un figlio spetta alla donna».s
Ma quando inizia la vita umana nessuna donna (e nessun uomo) può stabilirlo. E’ la biologia a dirlo, anche se alcuni fingono di ignorarla per lassismo, superficialità o ideologia. In ogni caso, parlare di vita più o meno “dignitosa” ci riporta alla soppressione dei disabili a Sparta, al mito della razza perfetta a ariana del Nazismo e alle vite “indegne” di essere vissute di cui parlavano molti ideologi tra Svezia, Germania e Stati Uniti nel XIX e il XX secolo.
Addirittura, secondo i togati senza scrupoli, non solo le persone malate e imperfette sarebbero inutili alla società, ma si sono spinti a dichiarare di non voler interferire con «il trauma che avrebbe creato alla donna una decisione diversa». Tradotto: se hai un figlio (o forse anche un genitore, un fratello, un amico) malato, la tua vita diviene traumatica.
I traumi veri però derivano da altro. Da figli depressi e soli, per esempio. O da scelte sbagliate e autolesioniste, come quella di aver consigliato e promosso il suicidio, l’eutanasia o l’aborto. E la vera domanda è: a che servono i limiti di legge, se poi la scappatoia per aggirarli si trova sempre?