Avevamo di recente denunciato lo scontro interno ai paesi membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e la spinta, da parte dei Paesi occidentali, di affermare sempre di più le politiche abortiste e a favore delle lobby Lgbtqia+. Ecco che alla fine proprio l’Oms ha ceduto a queste pressioni e dunque proseguirà nella sua operazione di empowerment, lavorando su una pluralità di fronti. Proprio l’aborto e le pratiche Lgbt+, da questo punto di vista, rappresentano due terreni facilmente sovrapponibili. Un’operazione che, nella sua complessità, sta procedendo inarrestabile, grazie anche alla complicità dei soliti miliardari “filantropi” globali.
Il Comitato esecutivo dell’Oms ha infatti votato per conferire «relazioni ufficiali» al Centro per i diritti riproduttivi (Crr), uno studio legale internazionale sull’aborto, finanziato da notabili della finanza ideologizzata, quali George Soros. Dopo diverse sessioni di voto l’Oms ha approvato la petizione di partnership del Crr. Quest’ultimo ha intrapreso una guerra legale in tutto il mondo per rovesciare le protezioni pro-vita per i nascituri, nell’intento di affermare un “diritto” mondiale all’aborto su richiesta e alle procedure transgender. La strategia prevede strumenti giuridici come il contrasto all’obiezione di coscienza (specie se di matrice religiosa) e il riconoscimento del diritto delle minorenni a praticare l’aborto senza l’assenso dei genitori.
Il connubio Oms-Crr non è nuovo e risale ad almeno due anni fa, quando l’organismo delle Nazioni Unite elaborò le sue linee guida per la cura dell’aborto, avvalendosi della consulenza di Christina Zampas, consigliere per i diritti umani del Crr. Il documento rileva che «l’assistenza completa all’aborto» è nella «lista dei servizi sanitari essenziali» dell’Oms. Altro nome di spicco della finanza globale a servizio dell’abortismo radicale è poi quello di Warren Buffet che, attraverso una delle sue fondazioni ha elargito 100 milioni di dollari all’Oms, mentre, soltanto nel 2020, il Crr ha ricevuto 5 milioni di dollari di fondi esentasse dallo stesso Buffet. Anche Melinda Gates, ex moglie di Bill Gates ha finanziato il Crr con un miliardo di dollari, attraverso l’organizzazione filantropica Pivotal Ventures da lei fondata.
Con 50 avvocati e giuristi attivi in tutto il mondo, il Crr ha intentato cause che hanno ribaltato o indebolito legislazioni a favore della vita in 65 Paesi. Non sempre, però, il think-tank internazionale abortista è uscito vincente nelle sue battaglie legali. Nel 2022, infatti, il Crr rappresentò la Jackson Women’s Health Organization, che fu sconfitta nella storica sentenza della Corte Suprema Usa, che, dopo quasi 50 anni, ha rovesciato la Roe vs Wade sull’aborto, permettendo nuovamente agli Stati americani di legiferare a favore della vita.
Come “premio di consolazione”, nel 2023, il presidente Joe Biden ha nominato l’avvocato Julie Rikelman (che ha rappresentato il Crr nella suddetta causa federale) alla Corte d’Appello del Primo Circuito. Il Crr ha fatto appello alle dichiarazioni internazionali sui diritti umani per condannare una norma federale dell’era Trump che consente agli operatori sanitari cristiani di rifiutarsi di partecipare ad aborti o a procedure transgender.
Altro fronte di battaglia per il Crr è poi la pressione per il riconoscimento dell’accesso alla fecondazione in vitro da parte di coppie dello stesso sesso, con i soldi dei contribuenti. Secondo gli uomini del Crr, infatti, le pratiche omosessuali, che per natura non possono produrre un figlio, costituiscono «infertilità sociale». La strategia del Crr è molto chiara: implementare a livello legislativo l’aborto o il gender, stroncando sul nascere ogni dibattito antropologico e ogni discussione politico-parlamentare.
Chi si oppone al connubio Oms-Crr, sono principalmente la Russia e un gran numero di Paesi africani e del Mediterraneo orientale, come appunto abbiamo avuto modo di spiegare in un recente articolo sul tema. Decine di gruppi pro-vita, tra cui il Family Research Council, hanno ammonito che il sodalizio Oms-Crr potrebbe violare una disposizione vieta all’organismo stesso di formare una relazione con qualsiasi gruppo che possa «compromettere l’integrità, l’indipendenza, la credibilità e la reputazione dell’Oms» (Wha69.10, paragrafo 5).
Il Crr, appunto, come hanno fatto notare molti gruppi pro life, «travisa regolarmente lo status dell’aborto nei trattati internazionali così come altre questioni relative ai diritti umani» e «ha ripetutamente compromesso le prove scientifiche nei suoi materiali di difesa».