27/05/2021 di Giuliano Guzzo

Altro che ddl Zan. Ecco come in tutta Europa l'ideologia gender viene rifiutata

In Europa è in corso un ripensamento sul pensiero gender? Si tratta di un dubbio lecito dal momento che, mentre l’Italia discute il ddl Zan – dove l’ideologia gender la fa da padrone, a partire dall’articolo 1, che riduce l’identità di genere a «identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione» -, nel Vecchio Continente vanno moltiplicandosi segnali in netta controtendenza rispetto al pensiero dominante.

Abbastanza clamorosa, per cominciare, è stata la settimana scorsa la mancata approvazione, al Congresso della Spagna, della cosiddetta «Ley Trans», norma arenatasi con 78 voti a favore, 143 contrari e 120 astensioni, quasi tutte socialiste. Una sorpresa è arrivata anche dalla Germania, dove il Bundestag ha fermato una proposta di legge sull’autodeterminazione del genere proposta dai Verdi e da Neue Linke.

Sempre stando in tema, andrebbe ricordato quanto accaduto lo scorso novembre nel Regno Unito, dove il governo ha messo una pietra tombale sulla riforma del Gender Recognition Act, che chiedeva l’inclusione, appunto, del «self-id» o autocertificazione di genere. Uno stop in qualche modo rafforzato dalla decisione assunta a dicembre dalla Suprema corte britannica che, pronunciandosi sul caso di Keira Bell – una giovane che vive col rimpianto d’aver scelto di ‘passare’ al genere maschile da adolescente -, ha stabilito che i giovani sotto i 16 anni con disforia di genere non possono dare un pieno consenso informato al trattamento con bloccanti della pubertà, ordinando ai medici di chiedere l’approvazione del tribunale prima di trattare con una terapia medica qualsiasi minorenne con disforia di genere.

Analogamente, in Svezia il Karolinska Institutet non molti giorni fa ha deciso che ai minori di 16 anni con disforia di genere non sarà più consentito l’accesso a somministrazioni di soppressori della pubertà e di ormoni sessuali specifici del sesso desiderato, mentre per pazienti tra i 16 e 18 anni servirà l’approvazione del comitato etico nazionale, previa valutazione della reale cognizione del minore circa le conseguenze della somministrazione e della capacità di esprimere un consenso realmente informato e consapevole.

In questo modo è andata rafforzandosi la linea della Finlandia dove, a partire dallo scorso giugno, sempre con riferimento ai minori affetti da disforia di genere, si sono riviste le linee guida nazionali per preferire il trattamento psicologico a quello farmacologico. Più soft, ma non trascurabile – considerando quanto pervasivo sa essere il paradigma gender - è anche la svolta avvenuta in Francia, dove è stata messa al bando la cosiddetta «scrittura inclusiva». Insomma, un ripensamento o quanto meno una frenata europea sul gender c’è, è qualcosa di palpabile e ormai trasversale.

Beninteso, non si può dire che il Vecchio Continente sia sulle orme dell’Ungheria che, trascina nata da un boom di nozze, sta risollevando la propria natalità come nessuno Stato neppure nordico sta facendo, ma certo c’è una battuta d’arresto che – ed è forse il dato maggiormente curioso – avviene non solo nei Paesi più secolarizzati, ma pure per mano di forze politiche laiche se non laiciste. Di questo passo, e non manca molto, verrà fuori che l’Italia, l’arretrata Italia dove il ddl Zan pare arenarsi, non era affatto «oscurantista»; semplicemente, si è fermata prima di precipitare nel burrone.

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