10/08/2016

Amore “made in Svezia”. Questo video rivela il dramma

La Svezia, nella mentalità comune, viene visto come un Paese progredito dove l’amore – o, meglio, il sesso (che ai giovani non interessa più) – non devono rispondere a vincoli ormai antiquati; l’educazione sessuale è tra le più libertine del mondo; il gender è all’ordine del giorno (ricorderete il video virale “Sono un gatto?”); gli stereotipi sono morti e sepolti e tutto è diventato “neutro” (giocattoli, pronomi personali...); la “parità di genere” è elevatissima (e ha fatto aumentare le violenze domestiche verso le donne)... e via via con l’elenco di altre “conquiste” tanto care al politically correct.

Tuttavia, com’era chiaro alla genuina saggezza dei nostri vecchi, «Non è tutto oro quel che luccica». Tutti i progressi di cui sopra, infatti, hanno perso di vista un dato fondamentale: le persone.

È tipico delle ideologie ragionare senza tenere conto del dato di realtà. Per cui, nello specifico del tema del presente articolo, all’amore inteso come donazione e sacrificio per il proprio compimento e quello altrui, ecco subentrare il (puerile) sentimentalismo del “love is love.

In tale ottica, l’amore è bello fino a quando dà piacere, ma poi è da preferirsi l’indipendenza. Le donne devono essere liberate dagli uomini, gli adolescenti dai genitori, gli anziani dai figli... ognuno deve poter decidere in perfetta autonomia, sempre e comunque.

Se non fosse che tutte le azioni umane determinano una conseguenza; conseguenza che, nel caso della Svezia, è stata documentata dal regista Erik Gandini con un interessante documentario dal titolo La teoria svedese dell’amore, distribuito da Lab 80 Film.

Il documentario uscirà in Italia giovedì 22 settembre, ma nel frattempo sono già disponibili un testo di presentazione e il trailer ufficiale dello stesso, che rilanciamo volentieri.

Il declino della Svezia a partire dalle politiche attuate negli anni Settanta dovrebbe stimolare in tutti una seria riflessione: dove stiamo andando? Quale società vogliamo per il futuro?

Se l’intento che l’Italia (e, con lei, l’intero mondo occidentale) si prefigge è quello di avere individui sempre più soli, di demolire i legami familiari, di relegare gli anziani nel nascondimento, di uccidere chi non viene considerato degno di vivere, di sovvertire ogni legge naturale... allora la strada che stiamo percorrendo è quella corretta.

Ma se non è così – e noi di ProVita sappiamo che molte persone non condividono l’impazzimento generale cui stiamo assistendo -, è giunto il momento di invertire la rotta. E occorre farlo subito, prima che sia troppo tardi.

Sinossi de La teoria svedese dell’amore

È noto che la Svezia si sia costituita in una società perfettamente organizzata, spesso presa a modello e simbolo delle più alte conquiste del progresso umano. Erik Gandini, in La teoria svedese dell’amore, analizza con attenzione entomologica la società svedese e nella sua ricerca scopre che la ricetta per lo stile di vita nordico era stata preparata a tavolino dall’élite politica svedese, che in un manifesto pubblicato negli anni Settanta dello scorso secolo aveva decretato l’indipendenza assoluta degli abitanti come necessità e obiettivo per l’intero popolo. Indipendenza dei figli dai padri, delle mogli dai mariti, eccetera. Gli svedesi, capaci di accettare immediatamente le proposte ritenute giuste dalla maggioranza, si sono subito adeguati e da allora l’indipendenza del singolo è favorita a ogni livello sociale.

La teoria svedese dell’amore scava nella vera natura dello stile di vita svedese, esplorando i buchi neri di una società che ha creato il popolo più autonomo, costituendo una società perfettamente organizzata in cui tutti hanno le medesime opportunità per una esistenza indipendente.

Tra gli esiti di questa “autonomia istituzionalizzata”, in cui nessuno deve chiedere agli altri favori o aiuti, riducendo così al minimo i contatti fra gli individui, quasi metà della popolazione abita oggi in appartamenti singoli e sempre più donne scelgono di affrontare la maternità attraverso l’inseminazione artificiale.

Alcuni svedesi stanno cercando strade differenti: giovani formano comunità che vivono nei boschi, scegliendo le emozioni e gli affetti; un chirurgo di successo sposta l’attività in Etiopia dove ritrova il valore della vita comunitaria, risolvendo con incredibile creatività i problemi che nascono dalla mancanza di materiale sanitario. Il film è chiuso dalle parole illuminanti del sociologo Zygmunt Bauman che spiega perché una vita senza difficoltà non è necessariamente una vita felice. Gandini solleva una questione: “Perché una vita vissuta in tale sicurezza e tranquillità porta così spesso all’insoddisfazione?”. Il regista allontana il punto di vista dall’oggetto di studio fino a paragonare lo stile di vita svedese, fatto di benessere e solitudine, con la vita in Africa, oppressa dalle privazioni ma ricca e vivace sul piano relazionale.

Dopo Videocracy, il film “pop” sul berlusconismo, Gitmo, sui prigionieri detenuti a Guantanamo, Surplus, sulla società consumistica, Gandini ci regala un altro film-saggio informatissimo, rigoroso, profondo e allo stesso tempo scanzonato, libero e fortemente cinematografico. Il regista italo-svedese non smette di stupire, con brillante intelligenza, trovando prospettive sempre nuove e inattese per raccontare l’attualità, lontano dai cliché su cui i media non smettono di arenarsi.

Redazione

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