«Quando si parla di quei casi limite, quelli che la gente usa sempre per chiedere l’aborto illimitato, stanno parlando di me». Queste sono le parole di un giovane che, in occasione della Festa della Mamma, ha rilasciato a Life News la sua testimonianza.
«Non sarei qui se non fosse per l'incredibile decisione della mia preziosa mamma». Stava servendo nell’esercito quando fu vittima di violenza. Poteva abortire legalmente, ma non lo fece, nonostante non potesse tenere con sé quel figlio. Lo partorì e lo diede in adozione.
Si trattò indubbiamente di una situazione a dir poco tragica. La propaganda abortista dice che i bambini concepiti in uno stupro fanno come da “promemoria” della violenza per le madri e per questo andrebbero abortiti. Eppure, sono tante le testimonianze di donne che affermano che l’aborto sia stato una violenza peggiore sul loro corpo rispetto allo stesso stupro. Così come non mancano testimonianze di donne che sono felici di aver rifiutato l’aborto e raccontano di come il bambino le abbia aiutate a superare la tragedia della violenza.
E in tutto ciò resta comunque il fatto che, a prescindere dalle condizioni in cui è avvenuto il concepimento, l’aborto elimina un bambino. Quel “caso limite” usato per chiedere l’aborto legale non è una cosa, ma una persona. «Mi è stato detto (anche a volte in faccia da attivisti pro-aborto) che avrei dovuto essere abortito», racconta il giovane. Ma come si fa a guardare in faccia una persona e a dirle: “Saresti dovuto morire”?
È forse il bambino il colpevole dello stupro o lo stupratore? Generalmente l’opinione pubblica respinge la pena di morte per lo stupratore. Perché la ammette, invece, per il bambino innocente? Le donne meritano di essere rispettate ed aiutate con massima cura a superare il dramma della violenza, non abbandonate e lasciate alla tragica opzione dell’aborto.