Dopo che l’Olanda e, sulla sua scia, l’Osservatorio francese della teoria di genere ed altri “Istituti” analoghi di Paesi europei, hanno introdotto «il supporto per i bambini e gli adolescenti nella loro autodeterminazione, in conformità con il nome scelto specialmente nelle scuole, e l’accesso sulla base del consenso informato ai trattamenti ormonali e/o il blocco della pubertà», anche in Regione Toscana c’è chi ha pensato che la sanità pubblica debba interessarsi di favorire agli adolescenti la possibilità di effettuare «il cambiamento sessuale prima del raggiungimento dell’età adulta».
Già a 12 anni, infatti, alle femmine “confuse” rispetto alla propria identità sessuale il Centro medico universitario di Amsterdam fornisce il testosterone per bloccare il ciclo mestruale e lo sviluppo, mentre ai maschi che si “sentono femmine” vengono somministrati gli estrogeni, sempre per arrestare la pubertà. Poi a 18 anni i ragazzini potranno scegliere se operarsi o meno per cambiare anche genitalmente sesso. Invece che ascolto, quindi, anche la società italiana si inizia a preoccupare d’impasticcare i nostri figli inducendogli ad effettuare dei cambiamenti psico-fisici dei quali molto probabilmente si pentiranno quando sarà troppo tardi.
Un nostro amico toscano, Dott. Giovanni Bonini, pediatra da 35 anni, ha scritto alle autorita’ della Regione Toscana per illustrare motivazioni contro la richiesta avanzata dal primario del reparto di Medicina della sessualità dell’ospedale Careggi di Firenze alla Regione Toscana, per ottenere il via libera all’uso di trattamenti ormonali su bambini affetti dalla nuova patologia inventata di “disordine d’identità di genere” (Gender identity disorder- G.I.D.).
Di seguito il testo integrale della lettera:
Il mio lavoro mi ha portato nel tempo a non occuparmi solo dell’aspetto strettamente medico del bambino, ma anche, con la crisi odierna della società, della globalità del suo benessere psichico, affettivo, comportamentale, educativo.
Inizio questa mia lettera con 2 premesse che introducono l’argomento per il quale Le scrivo.
Primo punto: il mio osservatorio privilegiato, in quanto pediatra “di famiglia”, mi permette di operare a stretto contatto con i genitori, vivendo in prima persona tutte le gioie e i dolori che all’interno di essa si sviluppano, dalla nascita del figlio, alla sua educazione, dalle loro aspettative alle loro preoccupazioni, la perdita del lavoro, la separazione, la crisi del ruolo paterno, la malattia, il lutto, ma anche la crescita vigorosa e progressiva del bambino, i suoi successi scolastici e sportivi, la gioia della nascita di fratellini, il diventare grandi, trovare lavoro, mettere su famiglia, dare al mondo figli e via di seguito in questo ciclo affascinante della vita.
Conosco e affronto quindi tutte o quasi le dinamiche che si instaurano fra i vari componenti, mi rendo conto delle carenze, mi preoccupo di aiutarli a trovare le soluzioni, cioè sono per loro un punto di riferimento al quale possono rivolgersi, col quale possono consigliarsi.
In parole povere nelle famiglie non ci vivo ma quasi, e di storie ne potrei raccontare a fiumi, io come tantissimi miei colleghi.
Secondo punto: la scienza pediatrica, e i presidenti e direttori di Società Scientifiche e Culturali Pediatriche che ci leggono per conoscenza lo potranno confermare, si è sempre mossa con prudenza, con delicatezza, nelle sue sperimentazioni scientifiche, non dimenticando la locuzione latina “primum non nocere” , ma avendo anche come obiettivo la “best practice” per la cura dell’infanzia, quindi quale è l’atteggiamento migliore da tenere nella cura del bambino, avendo come interesse principale la sua salute globale.
Ecco che sono nate scuole di pensiero per “fare meglio con meno”, per adottare nella pratica quotidiana le tecniche di counseling nella relazione di cura, ma anche il massimo rigore nella sperimentazione di farmaci (tanto che la stragrande maggioranza dei pediatri sono aggrappati a farmaci che hanno 40-50 anni, e non vogliono cambiarli, perché le novità sono spesso viste con diffidenza, e quando una terapia è efficace, anche se vecchia, non viene modificata).
Vengo ora al motivo della mia lettera.
Ho letto sul Corriere Fiorentino che nella mia regione il primario del reparto di Medicina della sessualità dell’ospedale Careggi di Firenze ha richiesto il via libera alla Regione Toscana dell’uso di trattamenti ormonali su bambini affetti da Gender identity disorder (G.I.D.), ovvero la patologia di cui soffrono, secondo il “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders” e “l’International Classification of Diseases”, le persone adulte transessuali. Secondo il medico che ha rilasciato questa intervista, lo scopo è «indirizzare la pubertà (ndr di preadolescenti) verso il sesso che veramente sente il paziente».
A leggere ciò ho avuto un sobbalzo, alla mente mi sono venuti gli esperimenti “medici” fatti nei lagher nazisti, e più recentemente lo scandalo nella DDR dei trattamenti ormonali massivi sugli atleti (specie femmine) per potenziare le loro prestazioni sportive, sottraendole però ad una vita femminile “normale”perchè spesso erano sterili e sviluppavano nel tempo tumori genitali.
Questa sperimentazione è frutto della cultura che sta imperversando ora, sostenuta da un manipolo di persone che hanno tanta visibilità su mass media ed in vari ambienti sociali, che affermano che l’identità di genere non è un fatto biologico- anatomico, ma culturale-sociale, cioè quello che ognuno si sente di essere, è !
I bambini (ricordo che si parla di ETA’ EVOLUTIVA) sono in continua trasformazione, e soprattutto in continua maturazione, sia dal punto di vista psichico che fisico, estremamente stimolati e condizionati dall’ambiente familiare in cui crescono (dinamiche relazionali con la figura materna con quella paterna, disagio familiare per separazioni, alcolismo, uso di sostanze psicotrope, promiscuità, abuso) e proprio in ambienti di disagio che si sviluppano la stragrande maggioranza delle G.I.D. dell’infanzia (secondo la letteratura nel 95% dei casi come riportato dalla dott.ssa Chiara Atzori, medico, ed esperta nel campo dell’identità di genere).
La dottoressa inoltre si chiede “Cosa si pensa di risolvere con un trattamento ormonale quando il problema è psichico? Qui non stiamo parlando di bambini con disturbi dello sviluppo biologico, genetico, cromosomico o anche ormonale.”
Studi fatti su gemelli omozigoti hanno escluso l’ipotesi genetica dei disturbi dell’identità di genere (Dott. Neil Whitehead, ricercatore scientifico per il governo della Nuova Zelanda, per le Nazioni Unite e la International Atomic Energy Agency, http://www.hollanddavis.com/?p=3647 , i dott. Bearman e Brueckner http://academiccommons.columbia.edu/catalog/ac:129241) ed hanno evidenziato piuttosto che risentono di fattori sociali (culturali, educativi , differenti reazioni personali a eventi o circostanze che hanno un diverso impatto sui due gemelli).
Per dire quanto il problema sia delicato ed in continuo approfondimento, facendo una ricerca su PubMed, il motore di ricerca per tutte le pubblicazioni scientifiche nel mondo, ho trovato pubblicato un articolo che mette in relazione la transessualità dell’adulto con lo spettro autistico del bambino (11 volte più frequente nelle femmine transmen, 3 volte più frequente nei maschi transwomen: Journal of Autism and Developmental Disorders February 2012, Volume 42, Issue 2, pp 301-306Brief Report: Female-To-Male Transsexual People and Autistic Traits).
Nelle loro conclusioni gli autori ipotizzano «che questo aumento del numero di tratti autistici abbia impedito di essere assimilati in un gruppo di coetanee femmine, facendo gravitare la persona verso i maschi. Questo può anche avere portato a difficoltà di socializzazione in un gruppo di femmine di pari età e una sensazione di maggiore appartenenza da un gruppo maschile, aumentando così la probabilità di Disturbo dell’identità di genere (GID)».
Ho riportato questo studio(per altro validato: The research protocol was approved by the Cambridge University Psychology Research Ethics Committee. This work was conducted in association with the NIHR CLAHRC for Cambridgeshire and Peterborough NHS Foundation Trust.) per sottolineare quanto ci sia ancora da indagare nel campo della psiche riguardo a questi problemi.
Voglio però puntualizzare che assecondare un disturbo della sfera psicologica, dando per certo che quel BAMBINO perché gioca con le bambole, gli piace indossare abiti femminili, si trova bene con i pari di sesso femminile, e viceversa per una BAMBINA, sottoponendolo a trattamenti ormonali che lo indirizzeranno verso l’identità (ed il conseguente comportamento) del sesso opposto, ha poco di scientifico.
Per evitare che poi debbano ricorrere da grandi a un intervento di trasformazione del proprio corpo?
Se vi è un disturbo psicologico, perché non intervenire a questo livello, anziché adoperarsi in fondo alla “filiera” dei problemi, trasformando irreversibilmente quel corpo biologicamente e anatomicamente maschile o femminile, nel suo opposto?
Con un esempio calzante la dott.ssa Atzori dice “È come mettere la coda a una persona che crede di essere un gatto, non si risolve proprio nulla. Anzi, si peggiorano le cose”.
Ogni giorno compaiono testimonianze su mass media ed internet di persone che si sono pentite amaramente per aver fatto scelte così avventate, raccontando le proprie sofferenze, il ricorso alla psicoterapia, fino al suicidio. Casi di uomini trasformati chirurgicamente in donne, che da adulti poi si innamorano di un uomo, ma poi la realtà è quella di non essere donne vere, di essere sterili e di trovarsi di nuovo di fronte ad una sofferenza
(http://www.mediatrice.net/modules.php?name=News&file=print&sid=1649, http://www.tempi.it/belgio-donna-cambia-sesso-a-42-anni-ma-soffre-perche-si-sente-un-mostro-approvata-la-richiesta-di-eutanasia#.Um0KzuDE4nt, http://www.tempi.it/leutanasia-del-trans-nathan-non-e-colpa-di-un-intervento-malriuscito-ma-di-ferite-che-nessuno-voleva-vedere#.Um0KseDE4ns).
Dopo queste ultime dolorose testimonianze mi voglio fermare.
Spero di aver suscitato una riflessione su come, il delirio di onnipotenza che sta attanagliando l’uomo, e di cui la così detta ideologia del gender ne è una delle tante espressioni, voglia portare una profonda, ed aggiungo pericolosa, trasformazione della società odierna, e di come la comunità scientifica ed il mondo politico possano e debbano mettere un argine, non nascondendosi dietro simboli religiosi o politici, ma per la pura difesa antropologica del genere umano.
Dott. Giovanni Bonini
Pediatra
Pistoia