In prima linea dalla parte delle famiglie e dei bambini di Bibbiano, c’è il Comitato Famiglia e Vita. Sorto all’inizio di quest’anno per contrastare il ddl regionale dell’Emilia-Romagna contro l’omotransnegatività, il Comitato, guidato dal veterinario modenese Franco Rebecchi, che sta continuando le sue battaglie in difesa della vita, dal suo inizio al suo termine naturale, e della famiglia, si è da subito impegnato appena saputo dello scandalo emerso nella Val d’Enza (otto comuni che si avvalgono degli stessi servizi sociali) e passato alla cronaca come il “caso Bibbiano”. Da subito il Comitato ha partecipato alle varie iniziative, fiaccolate convegni, conferenze stampa che da mesi si susseguono non solo nella provincia di Reggio Emilia ma anche in diverse città dell’Emilia-Romagna e in altre regioni.
Lo scorso 21 settembre, il Comitato ha tenuto un dibattito pubblico a San Felice sul Panaro (MO), sede del comitato e uno fra i paesi coinvolti nel famigerato caso che scoppiò tra il 1997 e il 1998 (Federico Scotta, uno dei padri accusati, avrà la revisione del processo il prossimo 10 ottobre, dopo undici anni di carcere e tre figli portati via) dei “Diavoli della Bassa Modenese”. Il convegno ha visto interventi di politici, giudici e anche di famiglie che si sono viste portare via i figli dai servizi sociali. È un sistema ormai tristemente collaudato da tempo, in cui sono coinvolti gli operatori sociali, i giudici e pare anche le amministrazioni civili. Lo stesso Franco Rebecchi, in un’intervista rilasciata a Pro Vita & Famiglia ne parla.
Dottor Rebecchi, come si è attivata la cittadinanza per rispondere a scandali come quello di Bibbiano?
«Stiamo organizzando molti incontri per sensibilizzare, far conoscere questa tremenda realtà e far emergere molti casi e aiutare le famiglie disperate. Sabato 28 settembre saremo a Brescia per una fiaccolata organizzata da Chiara, una mamma a cui hanno tolto due figli. Sabato 5 ottobre è previsto un convegno a Maranello (MO), prossimamente un altro a Bergamo, con varie associazioni come la nostra. Un altro ancora sarà a Desenzano (BS) a novembre».
Bibbiano, quindi, non è un caso isolato? Siamo di fronte a un fenomeno nazionale?
«Assolutamente sì. Sono venuto a conoscenza di casi capitati a Roma, Viterbo, Brescia, Bergamo, Mantova, Modena, Bologna, Rovigo e tante altre città. Molte famiglie non parlano, essendo spesso sotto ricatto: attualmente molte di esse non sanno dove sono i loro figli, alcune li vedono saltuariamente, una volta al mese, in situazioni protette».
In ogni caso, la Val d’Enza rimane il territorio dove più bambini sono stati sottratti alle famiglie…
«L’Emilia-Romagna pare il centro di questo sistema. C’è, però, anche un vulnus legislativo che permette agli assistenti sociali e ai giudici dei Tribunali dei Minorenni di prelevare, o meglio, prendere con violenza e all’improvviso i bambini dalle loro famiglie, senza prove, sulla base di pure supposizioni avvallate a volte da giudici compiacenti. Nei tribunali troviamo le commissioni dei giudici: ai giudici togati si associano anche i giudici onorari che spesso sono collegati alle case-famiglia. Le comunità, poi, da testimonianze raccolte da madri, sono a volte peggio del carcere, spesso ad esempio il cibo, i detersivi, la luce elettrica sono limitati per risparmiare. I bambini sottratti ai genitori non vengono quasi mai affidati ai nonni: se li danno a loro, nessuno ci guadagna nulla, mentre se li danno alle comunità, c’è un giro di soldi dai 200 ai 400 euro al giorno. Psicologi e psichiatri, a volte possono presentare parcelle da 170 euro all’ora per ogni perizia, mentre dovrebbero riceverne circa la metà».
È solo un business o c’è anche un risvolto ideologico?
«Alla base, oltre ai soldi e al potere, c’è anche il rifiuto della “famiglia patriarcale” secondo me: ce l’hanno con la figura del padre, ci sono casi in cui i padri vengono accusati di violenza e i bambini e sono affidati a coppie omosessuali. Questi affidi, in teoria, dovrebbero essere al massimo di due anni, ma poi, spesso, vengono rinnovati e, di fatto, diventano adozioni, anche se formalmente non lo sono. Molte volte i bambini sottratti alle famiglie non vogliono più tornare a casa, perché si fa credere loro che sono stati abbandonati dai genitori (vedi giochi, regali e lettere dei genitori mai consegnati ai bambini). Soldi e potere c’entrano ma c’è di mezzo anche l’ideologia del gender. Si pensi alla dirigente dei servizi sociali della Val d’Enza che avrebbe affidato dei bambini alla sua ex compagna. Dalle accuse emergerebbe un sistema fortemente collegato alla Regione Emilia: la presidente della Commissione regionale Pari Opportunità, che aveva promosso e voluto il ddl sull’omotransnegatività, aveva a suo tempo invitato Claudio Foti, e la stessa dirigente a presentare il loro “modello d’avanguardia” sulle adozioni in regione a Bologna. Il punto che è al vaglio degli acquirenti sarebbe il metodo che parte dal presupposto che molti bambini siano stati violentati e che siano i genitori a dover dimostrare il contrario. Il rischio concreto è che siano stati indottrinati e plagiati fino a costringerli a dire quello che vogliono loro, anche se non è vero. Ci sono assistenti sociali che arrivano a manipolare i loro disegni trasformando dei missili in simboli fallici… Casi di questo tipo possono capitare in tutti i comuni italiani, dove c’è smania di denaro e di potere degli assistenti sociali, dei giudici e dei direttori dell’ASL non ha controllo. Ma questo sistema possiamo dire che è più radicato dove le amministrazioni sono al governo da decenni».
di Luca Marcolivio