09/11/2013

Bimbi mai nati, la testimonianza di Lena e Marco

Matteo, morto dopo 7 mesi e mezzo di gestazione per una malformazione congenita, riposa nel Giardino degli Angeli al Cimitero Laurentino. I genitori: «Il ricordo di nostro figlio non sarà il ricordo di un aborto»

«Signora, c’è un problema». Dolore, sgomento, terrore davanti all’immagine dell’ecografo. Quel figlio che arrivava proprio quando Lena, 44 anni, era rinata, dopo la malattia che in pochi mesi si era portata via il marito, lasciandola sola a crescere due figli ora adolescenti. Poi, l’incontro con Marco, 46 anni, con cui, impensato, ritrova l’amore. Fino al matrimonio e a quel figlio accolto come fosse il primo. «Rivedevo tutte le settimane precedenti – racconta Lena -: una gravidanza normale. Cosa poteva essere che non andava?». Il medico iniziava a spiegare. «Eravamo degli automi – aggiunge Marco -. Malformazione, anancefalo, legge, aborto: parole che ci terrorizzavano». Matteo – «avevamo deciso di chiamarlo così» – aveva una malformazione congenita, l’anencefalia, incompatibile con la sopravvivenza. «Una morsa allo stomaco», ricorda Lena con una luce nei suoi occhi blu che non ti aspetti. La luce di chi ha vissuto tanto e ha conosciuto la morte, quella che cava il cuore, di un figlio mai nato. Curato nel grembo materno per 7 mesi, lì, «sotto il mio cuore, nel mio utero-culla, l’ho accompagnato alla morte».

«Il dottore ci consigliò l’aborto – spiega Marco -. Rifiutammo: “Nostro figlio è vivo, respira, abbiamo sentito il suo cuore battere”». Navigando sul web, trovano il sito della Quercia Millenaria, l’unico Perinatal Hospice italiano che propone l’assistenza alla gravidanza che presenta malformazioni fetali, proponendo la cura in utero dove possibile oppure l’affiancamento ai genitori nell’accompagnamento del bambino ritenuto “incompatibile con la vita” verso la sua fine naturale. «Prendiamo un appuntamento: è nella nostra città, all’interno del Policlinico Gemelli, affiancando l’equipe del Day Hospital di ostetricia». L’approccio con un ginecologo di grande umanità che li aiuta a non perdere il senso della maternità e della vita di loro figlio, li fa sentire finalmente capiti, sostenuti. «Non ero più la portatrice di morte come apparivo agli altri. Ma solo una mamma. Non mi sentivo più giudicata per la mia scelta», ricorda Lena. Lei e suo marito erano ritornati a essere una mamma e un papà che insieme accompagnano loro figlio fino alla fine. Senza sensi di colpa. La vicinanza di altri genitori di figli “terminali” e la fede in Dio che, «grazie al nostro Matteo, si stava rafforzando», li sorreggono fino al parto. Un cesareo a 7 mesi e mezzo di gestazione per dare alla luce un bambino morto nell’utero, con i volontari dell’associazione che tengono la mano di Lena in sala parto, avvolgono il figlio in un lenzuolino e, come lei ha chiesto, glielo mettono tra le braccia. Un abbraccio che dura alcune ore, dove il dolore diviene sorriso, impresso nelle foto di quei momenti, che mostrano con serenità. «Anche gli altri miei figli sono entrati in sala parto per conoscere il loro fratellino. Il ricordo di nostro figlio non sarà il ricordo di un aborto e neppure un ricordo di morte».

Adesso il corpo di Matteo riposa nel Giardino degli Angeli, uno spazio riservato ai bambini mai nati nel Cimitero Laurentino di Roma. «Quel cimitero esiste da quasi due anni: come fa un assessore della Regione Lazio a non saperlo?», si chiede Marco. Ed è l’unico commento sulla richiesta di dimissioni di Lidia Ravera, titolare dell’assessorato regionale alla Cultura e alle politiche giovanili, per le sue dichiarazioni offensive a mezzo stampa sulla sepoltura dei bambini mai nati. Parla la loro storia di vita e speranza, che, un anno dopo, li vede pronti per un nuovo figlio. Solo, Lena aggiunge: «Quelle parole sono una manifestazione anti-educativa per i giovani che lei dovrebbe rappresentare con la delega alle politiche giovanili».

di Emanuela Micucci

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