Diciamolo da subito: “cambiare sesso” di per sé è impossibile. Al più ci si può sottoporre ad una terapia ormonale e ad un intervento di chirurgia plastica che modificherà caratteristiche esteriori, ma tutte le nostre cellule sono e restano sessuate, come la natura ha disposto.
Il cosiddetto “cambio del sesso” viene proposto a quei bambini o ragazzi che soffrono di “disforia di genere”: sentono, cioè, di essere nati “nel corpo sbagliato”. Preso atto del fatto che quello della “transizione di genere” è uno dei temi più dibattuti al giorno d’oggi, resta da chiedersi: ma fa bene o male tutto ciò?
Recentemente, numerose testate pare abbiano acclamato alla chirurgia come soluzione tale da evitare problemi psicologici a chi non si riconosce nel proprio sesso, come leggiamo su La Nuova Bussola Quotidiana. Il tutto è dovuto alla pubblicazione di una ricerca sull’American Journal of Psychiatry, a cui sarebbero state attribuite tali considerazioni.
Tutto fumo, spiega il sociologo Mark Regnerus. Tale entusiasmo è del tutto ingiustificato. Anzitutto, i cosiddetti «benefici» per la salute mentale sono riscontrabili dal decimo anno dopo la transizione. Quindi chi si è sottoposto all’intervento ha sofferto per ben 10 anni. Del campione monitorato (2.700 persone), poi, «quelli reduci da un intervento chirurgico subìto dieci anni prima erano appena 19 e, di questi, quelli che continuavano a riportare delle criticità risultavano 4».
Valutando, dunque, l’indice di impatto clinico dell’intervento, «Regnerus si è accorto che solo un intervento chirurgico ogni 49 sembra migliorare il benessere del paziente trans, evitando cioè che cerchi aiuto psicologico. Un numero, conclude Regnerus, davvero troppo piccolo per alimentare qualsiasi nota di entusiasmo».
A noi di Pro Vita e Famiglia non è mancata occasione di esprimere la nostra posizione in merito alle procedure di transizione: riteniamo che un bambino, data la sua tenera età, non possa essere pienamente consapevole dei rischi di una decisione così determinante e che, pertanto, è contro i suoi interessi dargli facoltà di optare in tal senso.
Considerato, inoltre, che la maggior parte di coloro che, in età infantile, ritengono d’essere nati “nel corpo sbagliato” cambia idea al subentrare dell’adolescenza, crediamo fermamente che alimentare tale idea, generatrice, tra l’altro, di sofferenza, non sia affatto il bene del piccolo.
Pensiamo, infine, che nessun bambino sia “sbagliato” e che, dunque, chi si sente tale debba essere aiutato ad apprezzare il proprio corpo e la propria unicità, piuttosto che essere spinto ad un cambiamento di cui molti si pentono.
di Luca Scalise