Il manifesto di Pro Vita & Famiglia rimosso a Milano risulta sia stato soltanto uno. La questione, tuttavia, non è di poco conto, in quanto denota una scarsa chiarezza nell’applicazione delle regole ma, soprattutto, l’egemonia dei collettivi femministi che, spalleggiati dalla giunta Sala, approfittando anche del caos dovuto all’emergenza Covid, finiscono per avere l’ultima parola. A denunciarlo è il consigliere d’opposizione Matteo Forte (Milano Popolare), che ha sollevato la questione in Comune. A Pro Vita & Famiglia, Forte ha spiegato i contorni della vicenda.
Consigliere Forte, lei sta seguendo da vicino la controversia dei manifesti di Pro Vita & Famiglia. Come si è mosso?
«Proprio oggi [ieri, ndr], ho portato la questione in consiglio comunale, chiedendo che l’assessore al Bilancio e al Demanio, Roberto Tasca, riferisca in aula le modalità e le procedure – citando anche i casi precedenti – attraverso cui un assessore, raccogliendo delle non precisate lamentele, può intervenire su un concessionario pubblicitario e chiedere la rimozione di un’affissione. Questa è stata la mia richiesta, ovviamente, accompagnata dallo sdegno politico, cioè dal fatto che nella “città dei diritti” – come ormai è decantata Milano, dopo dieci anni di amministrazione di sinistra – chi dissente viene censurato».
E l’assessore cosa le ha risposto?
«Molto tranquillamente, mi ha risposto che è la prassi: quando dei cittadini si sentono violati nella loro sensibilità con dei manifesti, il sindaco o l’assessore, non potendo obbligare nessuno, esercitano la loro moral suasion sul concessionario. In base a quale norma, però? Quanti devono essere questi cittadini? Basta essere a conoscenza dell’e-mail dell’assessore per esercitare questo diritto alla lamentela? Dal punto di vista del diritto e delle procedure democratiche, si apre uno scenario che è inquietante. Le perplessità, però, non finiscono qui. Quando viene affisso un manifesto, c’è un’autorizzazione da parte dell’ufficio pubblicitario. Una volta che un manifesto viene autorizzato, non si capisce quali motivazioni portino a smentire l’ufficio stesso».
Quindi la responsabilità istituzionale è individuata e conclamata…
«Assolutamente sì! La responsabilità istituzionale c’è, in quanto l’assessore rivendica questo ruolo di moral suasion. Come si concretizza, però, questo ruolo? Con una e-mail? Con una telefonata? Con una determina? Con l’invio dei vigili? Non si sa… Tutto questo fa ormai parte del clima di incertezza delle regole, in cui, in pieno Covid, ci muoviamo anche noi. Io stesso, quando sono in consiglio comunale, in realtà, sono collegato con il computer da casa mia: non è esattamente esercitare la propria funzione nella “sacralità dell’aula”. Dico questo per puntualizzare il clima in cui questi fatti avvengono: un clima in cui non c’è certezza di nulla e in cui le regole basilari della convivenza democratica saltano».
Quanti manifesti sono stati fatti rimuovere?
«A me risulta ne sia stato rimosso solo uno, all’angolo tra via Vigoni e via Mercalli, a ridosso della circonvallazione interna, quella più vicina al centro».
Significa che la richiesta di rimozione è partita da un singolo cittadino?
«A dire la verità, la richiesta di rimozione è partita dalla consigliera comunale Diana De Marchi. Le prime che hanno sollevato l’indignazione, sono state le femministe della Casa delle Donne, un soggetto in stretti rapporti con la consigliera De Marchi. Quest’ultima se n’è occupata poi in prima persona. Prendo atto – e di questo insistevo con l’assessore – che basta la lamentela di un consigliere comunale per zittire un’associazione di cittadini che, così, non ha più la possibilità di esprimere liberamente la propria opinione. È la legge del più forte, il diritto della maggioranza che prevale sulla minoranza».
Che cosa, a suo avviso, ha colpito di più di questa campagna di Pro Vita & Famiglia?
«Per quanto mi riguarda, la cosa che più mi ha colpito è stata la strenua difesa del prodotto farmaceutico [la pillola abortiva Ru486, ndr] e della sua casa produttrice. Anche le reazioni dei miei colleghi in consiglio comunale sono state del tipo: “tutte falsità, è un prodotto farmacologico sicuro e testato”. Oltretutto la casa farmaceutica non si è minimamente fatta viva. Hanno alzato la voce solo i difensori di questa realtà che ha tutto l’interesse a mettere in commercio un prodotto che non venga scalfito dal dubbio. Insomma, è davvero curioso che questa presa di posizione arrivi dalla sinistra, che, sulla carta, dovrebbe essere in difesa dei deboli».