Ormai non sanno più che inventarsi gli abortisti per influenzare l’opinione pubblica sul tema dell’aborto. Conosciamo tutti gli slogan (a dir poco fuorvianti) che ritraggono questa pratica come “liberante” o “essenziale” per il rispetto dei diritti della donna. Conosciamo tutti i modi irrispettosi con cui vengono chiamati i bambini non nati (“grumi di cellule” o “parassiti”, per dirne alcuni) per dare l’idea che non si stia parlando di una vita umana.
Eppure, i termini usati dalle campagne abortiste non cambiano la realtà. L’aborto non rappresenta mai il bene di alcuna donna, perché la espone a rischi per la sua salute fisica e psichica e il nascituro è e resta un essere umano vivo e vero, un bambino, indipendentemente da come vogliano chiamarlo gli abortisti.
Ora, tanto per fare ancor più scalpore e avere un maggiore impatto mediatico, seppur privo di argomenti sensati, mettono in ballo il nome di Dio a sostegno della propria causa. Non molto tempo fa avevamo parlato delle magliette con su scritto “Grazie Dio per l’aborto”. La vergognosa messa in scena sta andando avanti con una serie di indumenti ed accessori che recano questa scritta blasfema, leggiamo in un articolo di Life News.
Per Viva Ruiz, artista e attivista sostenitrice della campagna, l’obiettivo è quello di normalizzare l’aborto e combattere il concetto di “peccato” ad esso associato. Insomma, è evidente che una simile campagna sia stata realizzata in sfregio ai tanti pro life che appartengono a qualche religione. Del resto, basta avere un minimo di cultura per sapere che, per ebrei e cristiani, “Non uccidere” è un comandamento divino, non semplicemente umano, e che anche altre religioni condividono l’importanza di tutelare la vita umana sin dal suo inizio, cioè il concepimento.
Ancora una volta, le campagne pro aborto si distinguono per la profonda povertà e non scientificità di argomenti e per la mancanza di rispetto verso chi la pensa diversamente.