In una lunga intervista apparsa sul quotidiano Libero del 18 aprile, il giornalista Antonio Socci dialoga con Janet Doman – CEO degli Institutes for the achievement of Human Potential – sui cerebrolesi.
Nella mentalità comune questa condizione, che può essere congenita o acquisita, viene associata a una condizione grave e irreversibile.
Nell’intervista Socci e Doman forniscono un quadro della situazione che dimostra come i cerebrolesi e le loro famiglie possano continuare a sperare. E, anzi, come sia proprio la famiglia a rivestire un ruolo di fondamentale importanza nella coraggiosa decisione di affrontare questa condizione.
Riportiamo qui alcuni stralci dell’articolo, rimandando al blog Lo Straniero per una lettura integrale del pezzo.
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Non vi è alcuna correlazione tra lesione cerebrale e intelligenza. È possibile essere cerebrolesi e molto intelligenti, così come è possibile non essere cerebrolesi ed essere intellettivamente limitati. Vi è una forte correlazione tra lesione cerebrale e la capacità di esprimere l’intelligenza. Le persone cerebrolese molto spesso non sono in grado di parlare o emettere suoni, oppure parlano molto male o quando lo fanno dicono cose che non hanno senso. Proprio per questo si pensa che non parlino perché non sono abbastanza intelligenti da avere qualcosa da dire, o quando parlano male o dicono cose che noi non comprendiamo, ciò significa automaticamente che hanno una scarsa capacità di ragionamento oppure non capiscono. In moltissimi casi invece queste persone hanno una perfetta comprensione, ma scarse capacità di esprimere la propria intelligenza perché hanno seri problemi respiratori e quindi non riescono a respirare abbastanza bene da parlare o hanno gravi problemi uditivi e non riescono a tirare fuori le parole di cui hanno bisogno e che vogliono usare. Come potrà immaginare, ciò crea un’enorme frustrazione in queste persone, perché vengono trattate come se fossero stupide.
[...]
Chiaramente il cervello ha le risorse per superare una lesione grave. Lo vediamo accadere spesso. Il cervello ha un potere di recupero eccezionale. Anzitutto perché il cervello umano è enorme. Abbiamo molto più cervello di quanto ne usiamo. Forse usiamo meno del 10% delle sue capacità. Nessun altro organo del nostro corpo è così sotto-utilizzato. [...] Infine, oggi sappiamo che siamo in grado di generare continuamente nuove cellule cerebrali, dalla nascita fino alla morte. Questa neurogenesi è una scoperta molto recente. Ma la ricerca mostra che queste nuove cellule non si mantengono e muoiono facilmente. L’unico modo che abbiamo per mantenerle è fare qualcosa ‘che non abbiamo mai fatto prima’. [...]
-Il punto di forza del vostro metodo è la famiglia. [...] Lei non creda che la cultura oggi dominante tenda invece a scartare e abbandonare i feriti, i più deboli e sofferenti?
Sì, credo che sia così in generale, ma solo in alcune culture, non in tutte. I nostri genitori vengono da tutto il mondo ed è chiaro che in alcuni paesi ci sono ancora famiglie molto forti in cui la madre è rispettata e dove i bambini sono la priorità assoluta. Abbiamo sempre avuto molti bambini provenienti dal Messico, dall’Italia e dal Giappone. Oggi gli australiani, gli indiani e i russi stanno scoprendo il nostro lavoro e hanno iniziato a portarci i loro bambini. Queste famiglie sono la dimostrazione che ci sono ancora molti genitori che farebbero qualsiasi cosa per aiutare il proprio figlio ad avere l’opportunità per guarire.
-Una famiglia italiana che fosse interessata a conoscervi cosa deve fare?
Anzitutto i genitori devono leggere il libro Cosa fare per il vostro bambino cerebroleso. La nuova edizione (con una nuova traduzione) è pubblicata dal nostro nuovo editore Red!, gruppo Castello. Per maggiori informazioni, le famiglie possono contattare il nostro Istituto europeo a Fauglia, Pisa, in Via Delle Colline Di Lari, 6, tel. 050 650 237, www. irpue.it“
Redazione
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