05/12/2017

Chi sono gli uomini “nazi-buonisti”? Desidero ergo sum?

C’è una nuova categoria sociale: gli uomini (inteso: uomini e donne) “nazi-buonisti”. 

Dal caso di Avetrana alle baby squillo dei Parioli; da Schettino alla morte di Marilia, uccisa dal suo amante, datore di lavoro, perché voleva rimuovere una gravidanza indesiderata e che dopo averla bruciata si è postato, come se niente fosse, su Facebook, con figlie e cagnolino. Interessante ed estremamente significativa, la comunicazione degli amici, dei compagni di merende, dei familiari e soprattutto, dei genitori dei protagonisti delle vicende in questione: tutti indifferenti, sorpresi, stupiti. Tutti avvolti in una nebbia, a metà tra l’incomprensione e l’omertà. Questo è stato lo spaccato italiano da cui si prende spunto per analizzare e comprendere uomini, fatti e parole, della cronaca politica e cronaca nera.

Nel libro “Nazi buonisti” (edito da Koiné), ho cercato di raccontare, rappresentare, il peggioramento progressivo e inesorabile della società italiana. La perdita costante del “noi” e della relazione; basi sulle quali si fonda la polis, la vera res-publica; altrimenti, qualsiasi comunità organizzata implode, muore. Basta camminare per le nostre strade, osservare i movimenti collettivi, ascoltare il lessico dei nostri concittadini, analizzare i comportamenti per rendersene tristemente conto.

La lente d’ingrandimento va orientata, infatti, sulla “normalità malata”, che i sociologi chiamano “follia di prossimità”; su quella vita apparente che, in realtà, nasconde incubi e fantasmi latenti. Una bomba sempre in procinto di esplodere. E che coinvolge tutti con forme e tonalità più o meno diverse. Gli assassini, i colpevoli, citati nel libro, hanno sempre due morali e due verità. Non sono anomalie o schegge impazzite, ma sono figli, sono la punta dell’iceberg di più culture sovrapposte.

Il sommario del libro fa capire il perimetro dell’inchiesta, corredata da una introduzione e una conclusione che guida e costringe il lettore a confrontarsi con se stesso, a riflettere e a guardarsi meglio intorno.

Chi è, dunque, il “nazi-buonista”? Il neologismo è voluto per semplificare. Nella sostanza è l’odierno italiano medio, molto maleducato, individualista; anzi per meglio dire, egoista e totalmente privo del senso dell’alterità, delle regole, appunto, del “noi”; ma che a parole è democratico, tollerante, progressista, buonista, libertario. Parto evoluto dell’humus illuminista a 360 gradi. Seguace di un pensiero unico tollerante, democratico, ma di fatto “intollerante e antidemocratico” con chi si oppone al pensiero unico. Una nuova ideologia che uccide, ma per il nostro bene.

Dal materialismo, dall’anti-civismo al pensiero gender, c’è un collegamento stretto? La riposta è affermativa: è l’ultima evoluzione della “società delle pulsioni dell’io”, per qualcuno la negazione delle libertà liberali ottocentesche; per qualcun altro, l’estremo stadio proprio delle libertà liberali (Adam Smith e Marx uniti da Marcuse).

I passaggi di questo relativismo? Si incontrano nello stesso nostro dna. Basta assemblare familismo amorale, ’68, berlusconismo culturale e social.

Andiamo per ordine e riassumiamo i concetti: il familismo italiano (la degenerazione del valore pedagogico della famiglia naturale; la perdita del ruolo educativo da parte dei genitori), è un nostro male strutturale, sociologico, storico, culturale. Che ha meritato gli studi di Banfield. Ecco in sintesi, i suoi precetti: ciò che è esterno alla famiglia, intesa come clan, come tribù, è male; ciò che è interno è bene. Nella famiglia i figli rimangono eterni figli, mai uomini adulti (il privato contro il pubblico), e si vive un clima di continua deresponsabilizzazione, di impunità permanente rispetto alle regole, al senso civico, all’autorità dello Stato. Logico che alla luce di tale forma-mentis l’atteggiamento che si genera verso il mondo esterno, in chi vi appartiene, sia stato ed è tuttora predatorio. Ad Avetrana era più importante lo scandalo pubblico, la comunicazione, che la coscienza del delitto, del male fatto alla povera Sarah Scazzi. Il branco metropolitano (la famiglia, la tribù, il clan giovanile) poi, è il prolungamento delle regole familiste applicate ed estese al territorio, al quartiere: chi è nel branco ha ragione, va difeso; chi è fuori del branco è un nemico da combattere, da eliminare. Ecco la ragione per la quale se un membro del branco uccide “ha commesso un errore”; e per la madre, semmai, “ha fatto uno sbaglio”. La verità, sempre relativizzata (il male e il bene non sono antitetici, ma paritari), non viene mai vista e chiamata per nome. La comunicazione auto-assolutoria, giustificazionista, riduttiva, è sintomatica di un processo culturale ben preciso.

Il Sessantotto si è innestato perfettamente su questo filone. Con un’idea di libertà senza limiti, senza valutazione dei suoi effetti (sulle persone o cose), senza il contraltare dell’autorità. Nel nome e nel segno di una mistica dei diritti senza i doveri. Un soggettivismo assoluto che è stato ed è ancora, tra l’altro, la fonte di ogni lotta di classe nella storia, sia individuale sia collettiva, in quanto frutto dalla famosa frase “perché non io?”. Quell’invidia sociale, origine e causa di ogni rivendicazione ideologica e di ogni rivoluzione.

Negli anni Novanta il berlusconismo culturale ha rafforzato, americanizzato, aziendalizzato, il ’68, esaltando il culto della libertà, dell’individualismo esasperato, del consumismo sfrenato, del sessismo (già presente nella commedia all’italiana, film-specchio del nostro costume), dell’immagine, dell’io, della politica e dell’economia “ad personam”; del sostanziale relativismo etico.

I social, infine, il loro uso compulsivo, hanno estremizzato questo percorso nella sempre più marcata distanza tra realtà reale e virtuale: uomini, cittadini, consumatori-utenti ridotti a monadi incomunicanti, a bolle autoreferenziali e anaffettive.

Non è questa la società che vediamo e con cui ci confrontiamo ogni giorno? Non ci scontriamo con una logica e una religione individualistica assoluta, estranea a regole e limiti? Dove religione, istituzioni e leggi, sono viste e vengono vissute, come un frustrante limite?

Dall’economia di mercato, siamo passati, velocemente, alla società di mercato, e al supermercato (dove regna unicamente il desiderio compulsivo). La vita è ormai una enorme vetrina: possiamo scegliere, vendere, acquistare, svendere, affittare e buttare tutto velocemente (come una pausa caffè) mogli, mariti, uomini, donne, figli, uteri, cose. L’ideologia gender è la risultante del supermercato, della società Frankenstein (le pulsioni dell’io), dove ognuno prende il pezzo che vuole.

Nazi-Buonisti mette in guardia il lettore da questa deriva, offre un’interpretazione sulle cause e fornisce qualche spunto e appunto per ripartire in modo virtuoso: una nuova pedagogia cristiana, un ritorno all’alterità, alla relazione. A quel “noi” che la cultura moderna ha dimenticato e che è la linfa per ricostruire una società a misura di tutti gli uomini.

George Bernanos, il famoso scrittore cattolico francese, ha scritto righe molto profetiche: «Salvate l’uomo, perché sarà lo stesso uomo a non voler essere salvato; le società folli generano folli».

Fabio Torriero

Fonte: Articolo apparso su Notizie ProVita di Settembre 2015, pp. 13-14


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