24/05/2013

Claudette, dall’aborto all’impegno prolife: «ho dato un nome alla bambina che ho abortito»

Nel sogno c’è una casa di vetro, e dentro di essa c’è una bambina. L’interno della casa sta andando a fuoco e non c’è modo di entrare. La bambina morirà sicuramente.
Questo incubo ricorrente ha torturato Claudette Breton nei giorni immediatamente successivi al suo aborto nel 1975 tanto da impedirle di dormire la notte.

“Nel mio cuore sapevo che quel che avevo fatto era sbagliato”, ha detto Claudette, che ha partecipato per la seconda volta alla Marcia Nazionale per la Vita a Ottawa attraverso la Silent No More Awareness Campaign Canada (una campagna partita in Canada nel 2003 per creare una pubblica consapevolezza sulle conseguenze dell’aborto, ndt).

Claudette, che vive a Sault St. Marie, nell’Ontario, aveva 21 anni quando confidò alla madre di essere incinta. Non trovando alcun supporto per portare avanti la sua gravidanza, decise di abortire. All’epoca le leggi canadesi in materia di aborto erano più severe rispetto a quelle largamente permissive di oggi, così Claudette dovette prepararsi ad incontrare tre medici che avrebbero deciso il suo destino.  Ma nella stanza dove era previsto l’incontro – di cui lei ricorda minuziosamente i dettagli dell’arredamento – c’era soltanto un medico, che le chiese soltanto due cose: chi fosse il padre e cosa pensassero i suoi genitori. Una settimana dopo il colloquio venne informata che la sua “procedura” era stata approvata.

Si sentì vuota quando ebbe la notizia, ma quel senso di vuoto fu momentaneamente rimpiazzato dai primi movimenti della bambina nel suo grembo. “Sapevo che ero abbastanza in là con la gravidanza per il fatto di aver sentito quel battito”, ha raccontato.

A differenza dei ricordi cristallini dell’incontro con il medico che le ha dato il via libera all’aborto, Claudette ha ben poche memorie dell’intervento. Si ricorda semplicemente di un’infermiera che le diceva di non piangere, che tutto sarebbe presto finito.

“Trentotto anni più tardi – ha dichiarato – non era ancora finita. Mi sentivo come una persona completamente diversa. Avevo come un cuore freddo”.

Seguirono anni di comportamenti autodistruttivi, ma Claudette non collegò mai questi suoi comportamenti all’aborto. “Non ne ho mai parlato e non me ne sono mai resa conto – ha continuato nel suo racconto -. Mia madre era l’unica persona a sapere tutto, lei non lo disse nemmeno a mio padre o al padre del bambino”.

Dopo l’aborto Claudette cominciò a bere smodatamente fino al punto in cui capì che avrebbe dovuto smettere se non avesse voluto morire. Non molto tempo dopo, incontrò il suo futuro marito, Yvan Breton. Un anno dopo il matrimonio, Claudette ebbe un aborto spontaneo e da quel momento iniziò delle cure per la fertilità che furono però complicate da condizioni anomali nel suo utero. Alla fine, cinque anni dopo il matrimonio, Claudette scoprì di essere incinta.

“Quando vidi il bambino durante l’ecografia,  – ha ricordato – non provai alcuna emozione”. Quando suo figlio Julien, oggi diciottenne, nacque, lei non provò alcuna sensazione quando glielo misero tra le braccia.

L’esperienza di Claudette non è unica. Tra le migliaia di testimonianze condivise sul sito della Silent No More Awareness Campaign da donne che hanno abortito sono molte quelle che toccano gli stessi temi: comportamenti distruttivi, difficoltà a stabilire legami con i figli avuti successivamente e sensazioni di dissociazione.

Il suo percorso di guarigione cominciò quando Claudette tornò a frequentare la chiesa e confessò il suo aborto a un prete. Sentì un peso enorme scivolare via quando ricevette l’assoluzione e quando il prete le suggerì di dare un nome alla bambina. “Mi venne in mente il nome Melissa – ha detto -, e quello fu il primo passo”. Non aveva in mente di diventare un’attivista pro-life ma, passo dopo passo, continuò per quella strada dal 2011. Per prima cosa dovette dire al marito del suo aborto, poi a Julien della sorella che non avrebbe mai conosciuto e della sua idea di parlare alla Marcia Nazionale per la Vita di Ottawa lo scorso anno. “Mi disse che era fiero di ciò”, ha confidato.

Quest’anno Claudette ha marciato insieme a Julien, e anche se lei non ha condiviso la propria testimonianza con le altre donne della Silent No More Awareness Campaign, è stata comunque presente con questo messaggio: “Puoi avere il perdono da Dio, ma devi anche perdonare te stessa. Ho fatto una scelta quando avevo 21 anni e ho abortito la mia bambina. Il suo nome era Melissa. Affrontare quell’esperienza – ha concluso – mi permette ora di parlare apertamente della mia scelta, e di perdonare me stessa”.

Traduzione a cura di Andrea Tosini

Clicca qui per leggere l’articolo originale pubblicato da LifeNews in lingua inglese

Fonte: LifeNews

Blu Dental

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.