Nella società post-moderna e “liquida” come la definiì il sociologo Bauman, caratterizzata da relazioni consumistiche, a breve termine, la famiglia può ancora considerarsi un porto sicuro? Dunque un sistema di relazioni in cui possa esserci la gratuità e in cui si sviluppi la vocazione all’amore? E’ la domanda di fondo che attraversa “Come olio di nardo. Il valore della famiglia nel mondo contemporaneo”, il nuovo libro a cura della professoressa Giorgia Brambilla. Ne abbiamo parlato con l’autrice.
Il valore della famiglia nel mondo contemporaneo sembra essere diventato invisibile. Perché, secondo lei?
«Quando consideriamo il valore di qualcosa, lo facciamo per ciò che è, a prescindere dalle nostre opinioni o preferenze. La famiglia è esattamente il luogo in cui l’uomo, mediante la sua vocazione all’amore, può progressivamente scoprire e realizzare la sua identità personale attraverso il bene della comunione tra persone. Questo valore della famiglia oggi sembra essere diventato però invisibile per svariate ragioni. La prima è da ricercarsi, a mio giudizio, nel sistema consumistico, il quale già di per sé ci fa smarrire il vero valore delle cose perché conta solo ciò che mi soddisfa in questo istante; dunque, il valore di qualcosa scompare appena viene “consumato”: vale per gli oggetti, vale per le relazioni, vale per la persona umana. La seconda ragione risiede nel fatto che la modernità, non a caso definita da Bauman “liquida” ha come parole d’ordine: cambiamento, precarietà, velocità, provvisorio. È evidente che questo stile influenza anche le relazioni generando un’affettività narcisistica, instabile e mutevole, sottomessa alle proprie pulsioni e ai propri desideri; in una parola: priva di solidità. Questo, insieme a una spinta storico-culturale ben precisa non scevra da ideologie di vario stampo, ha contribuito a determinare una progressiva “liquidazione della famiglia”».
Nella sua ultima opera, come viene presentata la famiglia?
«Di fronte a questo scenario, anche preoccupante, la cosa sorprendente è, però, che la famiglia resiste. John Adams direbbe che «i fatti sono testardi» ed è proprio questa “testardaggine” della famiglia che un gruppo composto alcuni docenti dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, insieme a vari esperti dell’argomento, ha deciso di studiare per due anni fino alla realizzazione di un testo multidisciplinare intitolato Come olio di nardo. Il valore della famiglia nel mondo contemporaneo, edito da IF Press, che io ho avuto l’onore di curare. Il testo è composto da 4 sezioni: Filosofia e Sociologia; Teologia e Scienze Religiose; Vita e Bioetica; Psicologia e Pedagogia. È importante, a nostro giudizio, acquisire conoscenze e competenze per affiancare e sostenere con la formazione la famiglia, sotto vari profili, quello bioetico, ma anche sotto quello filosofico e sociologico, quello teologico e quello psicologico e pedagogico, come abbiamo cercato di fare in questo testo multidisciplinare. E contribuire, così, a diffondere il “buon profumo” della famiglia. Per questo abbiamo usato questa simbologia. L’olio di nardo nella simbologia biblica è un unguento molto prezioso, capace di diffondere il suo forte profumo a distanza. Sappiamo anche che nel Vangelo questo olio richiama la passione e morte del Signore e quindi un amore senza misura, capace di sacrificio, desideroso di dare la vita. La famiglia è proprio come l’olio di nardo: è un bene prezioso per l’individuo e per la società, che è diffusivo, non chiuso in se stesso, perché costituito dall’amore, quello vero, che genera e che resiste alle inevitabili intemperie della vita».
Oggi la famiglia sembra avere valore e significato solo nell’ambito privato. È così?
«Il duro periodo della pandemia che, in alcuni momenti, si è tramutato in una vera e propria “clausura domestica”, ci ha offerto l’opportunità di riflettere che è dalla famiglia che dobbiamo ripartire per vincere l’individualismo in cui ci siamo arenati come società; è la famiglia il luogo dove si impara che si può realizzare il bene comune senza soffocare quello personale, dove si scoprono il bene e la bellezza della vita umana, specialmente quella più fragile e dove si coltiva la virtù della giustizia. Dunque, se è vero che la famiglia è a servizio della società, anche la società deve necessariamente essere a servizio della famiglia. Anzi, possiamo dire che la famiglia e la società hanno una funzione complementare nella difesa e nella promozione del bene di tutti gli uomini e di ogni uomo. Ma la società, e più specificamente lo Stato, devono riconoscere che la famiglia è «una società che gode di un diritto proprio e primordiale» (Dignitatis Humanae, n.5). Del resto, una società a misura di famiglia è la migliore garanzia contro ogni deriva di tipo soggettivista o collettivista, perché in essa la persona è sempre al centro dell’attenzione in quanto fine e mai come mezzo. Dal canto suo, la famiglia deve recuperare ciò che le è proprio, a partire dall’aspetto educativo delle nuove generazioni, ma anche del suo essere culla della vita e conforto della fragilità, del suo essere “faro” per la società, diventando così “ciò che è”, parafrasando il celebre passo di Familiaris Consortio».
Nei suoi libri, quando si presenta come autrice o curatrice, antepone ai suoi titoli e ruoli accademici il fatto di essere sposa e mamma di 3 figli. Qual è il valore della famiglia nella sua vita e come riesce a conciliarla con il suo lavoro?
«Ho sempre sentito che nel mio cuore c’era posto per entrambe le vocazioni, seppure con le ovvie differenze e priorità. La maternità, poi, non ha tolto nulla al mio lavoro o alla mia carriera, come una certa retorica del mainstream vuole farci credere; anzi, essere mamma mi ha reso una professionista migliore. Il conflitto che si crea nella vita delle mamme fra figli e lavoro è già una sconfitta, così come l’idea del dover “conciliare” famiglia e lavoro. Meglio sarebbe approfondire e realizzare una integrazione tra le due dimensioni, che si trovano entrambe nel cuore e nell’identità della donna. È peraltro normale e logico che una donna, conformemente al suo tipo di formazione e ai suoi interessi, scopra in sé un’attitudine – una vocazione – a realizzare i propri “talenti” attraverso un’attività professionale, consentendo ad altre persone di beneficiare delle sue conoscenze o competenze».