28/01/2014

Commemorazione di alcune “vittime dimenticate” dell’Olocausto

Riportiamo la lettera inviata alla nostra redazione da parte di Gianmaria Spagnoletti

Gentile Redazione,
vorrei fare una mia personale commemorazione di alcune “vittime dimenticate” dell’Olocausto: le persone affette da malattie ereditarie, i malati di mente, i down, i disabili, eliminati con il gas negli ospedali psichiatrici del Terzo Reich. Il loro assassinio rientra nell’”Azione T4”, il programma di eutanasia varato dal governo nazista per eliminare tutte queste persone, ritenute “vite indegne di essere vissute”. L’obiettivo di questo disegno bestiale era di realizzare il folle sogno di una razza superiore, perfetta e senza alcun difetto.
Fra le poche voci che si levarono contro tale barbarie vi fu quella di Clemens August von Galen, vescovo di Münster (oggi Beato), che nelle sue prediche parlò apertamente contro l’eliminazione dei più deboli: “L’unico solido fondamento dello Stato è la giustizia. Il diritto alla vita, all’incolumità, alla libertà, è un’indispensabile parte di ogni ordine sociale virtuoso. Lo Stato che supera questi limiti voluti da Dio e permette o ordina la punizione di innocenti mina la sua autorità e il rispetto della sua sovranità nella coscienza dei cittadini…” E ancora:
“Hai tu, o io, il diritto alla vita soltanto finché noi siamo produttivi, finché siamo ritenuti produttivi da altri? Se si ammette il principio, ora applicato, che l’uomo improduttivo possa essere ucciso, allora guai a tutti noi, quando saremo vecchi e decrepiti. Se si possono uccidere esseri improduttivi, allora guai agli invalidi… ai nostri soldati, che tornano in patria gravemente mutilati. Nessuno è più sicuro della propria vita”.
La storia delle vittime dell’Azione T4 è stata magistralmente raccontata dal drammaturgo Marco Paolini nella sua rappresentazione teatrale “Ausmerzen” (in tedesco significa “abbattere”). Eppure ancora non basta: queste vecchie idee si riaffacciano di nuovo oggi.  Voglia Dio che sorgano altri von Galen moderni, a ricordarci che la vita umana è sempre degna di essere vissuta. Sempre.

di Gianmaria Spagnoletti

Festini

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