05/04/2013

Confusi e infelici

Il matrimonio gay visto dalla Rive Gauche di Pierre Bergé e dalla ragione di Bertrand Vergely

E’ stato Arthur Koestler, l’autore di “Buio a mezzogiorno”, a dire che “le premesse di una verità implacabile” possono portare “a risultati completamente assurdi”. Lui si riferiva all’abominio dei “processi di Mosca”, praticato da chi aveva creduto alla “verità implacabile” dell’uguaglianza tra gli uomini e della lotta all’oppressione di classe. Oggi, a voler essere temerari e a voler correre il rischio di non piacere mai più alla gente che piace, quella stessa considerazione si potrebbe applicare al matrimonio gay. La “verità implacabile” dell’uguaglianza dei diritti – tutti hanno il diritto di sposarsi, no? – può portare al “risultato completamente assurdo” di cancellare la circostanza che sì, ognuno ha diritto di sposarsi, se vuole, ma con una persona del sesso opposto (e neanche con tutte, visto che, almeno per ora, il tabù dell’incesto e il relativo divieto giuridico sono ancora attivi).

Vediamo due grandi paesi, in questo periodo, alle prese con quello che per alcuni è un “risultato assurdo” e che altri vedono come giusta e logica conseguenza di una “verità implacabile”: l’America, dove le nozze gay sono già legali in nove stati ma dove la legge federale riconosce come matrimonio solo quello tra persone di sesso diverso, e quindi nega una serie di vantaggi (per esempio la riduzione delle tasse di successione prevista per il coniuge che eredita) alle coppie omosessuali che si sono sposate in uno stato che lo consente; e la Francia – dal 1999 dotata del Patto civile di solidarietà, aperto anche alle coppie dello stesso sesso – che ha già approvato all’Assemblea nazionale, e dal 4 aprile discuterà in Senato, la legge sul “mariage gay”, con la possibilità di adottare figli e di riconoscere i figli del partner. Una legge promessa dal presidente socialista François Hollande nel suo programma elettorale, tenacemente perseguita dalla sua ministra della Giustizia, Christiane Taubira, e oggetto di un’opposizione dilagante, e per molti versi inaspettata, da parte di un movimento nato in ambito cattolico ma poi via via sempre più esteso e trasversale, che ha portato in piazza contro la legge, per due volte nel giro di tre mesi, centinaia di migliaia di persone.

L’America dovrà aspettare giugno, per conoscere la decisione della Corte suprema sulla costituzionalità della legge federale (il Defense of Marriage Act, che dal 1996 riconosce la qualità giuridica di matrimonio solo all’unione di un uomo e di una donna) e della Proposition 8 (la legge approvata con referendum che vieta il matrimonio gay in California. Vedi anche il Foglio del 23 marzo, inserto I). Il responso del Parlamento francese potrebbe invece essere questione di poche settimane, se non di giorni (questo, almeno, è l’auspicio del governo Hollande). Ma a colpire è la diversità di accenti, di umori, di argomentazioni, oltre a una evidente diversità nell’atteggiamento delle rispettive opinioni pubbliche, attorno a una questione che, in fondo, dovrebbe essere proprio la stessa. E se i due giorni di dibattito alla Corte Suprema sono stati segnati dalle solite, colorite manifestazioni dei sostenitori e dei contrari alle nozze gay, la situazione americana sembra ormai avviata a una sostanziale accettazione di quella soluzione. Opporsi, o anche solo avanzare obiezioni, fa rischiare l’impopolarità tra i giovani, e poi magari nessuno ti invita più da Oprah Winfrey o da Letterman (anche se la media degli ultimi otto sondaggi, come ha scritto pochi giorni fa il New York Times, accredita solo di un risicato 51 per cento gli americani favorevoli, contro il 43 per cento dei contrari, con il resto che è fatto di incerti o di indifferenti). Ma il dibattito in corso oltreoceano è molto molto – se non del tutto – concentrato sulle tecnicalità successorie e previdenziali, mentre la realtà consolidata (e piuttosto spaventosa) di una totale deregulation della procreazione medicalmente assistita – da molto tempo in America nascono bambini commissionati da coppie gay ed etero a madri surrogate, pagate alla luce del sole per questo – accantona, per così dire, il cuore antropologico della faccenda.
In America, insomma, il problema sembra essere soprattutto se la signora Edith Windsor – sposata nel 2007 in Ontario con la signora Thea Spyer, dopo un legame durato quarant’anni – ha diritto o meno a farsi restituire dal governo federale i trecentomila dollari e rotti di tasse di successione pagati alla morte della coniuge, per via che il Defense of Marriage Act non riconosce dal punto di vista ereditario il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

In Francia, la questione si presenta in modo molto diverso. Al punto che quella che doveva essere una tranquilla passeggiata parlamentare senza intoppi, si è trasformata in una guerra  civile nella quale mancano – ma per poco – solo le barricate. Ci si divide e si combatte sui fondamenti dell’essere umano e dell’“essere umani”, sul senso della filiazione, sulla mercificazione del corpo delle donne, sul senso stesso di quello che si chiama “realtà”. E non è solo che i francesi sono più propensi a buttarla in filosofia o che hanno letto Michel Foucault. E’ che quel mondo nuovo promesso dal “mariage gay” – completo di adozioni, genitore 1 e genitore 2, uteri in affitto per dare un figlio a papà e papà, e seme in provetta per fare la stessa cosa con mamma e mamma – non piace così scontatamente (piace, anzi, sempre meno) ai francesi. Anche a quelli che non hanno mai letto Foucault. Tanto che il povero Hollande, incautamente convinto che il suo “mariage pour tous” gli avrebbe dato, con modica spesa e massimo risultato, quell’allure decisionista e progressista di cui si dimostra sempre più carente, forse, se tornasse indietro, magari ci penserebbe un po’ meglio, prima di imbarcarsi nell’avventura.
Troviamo, anche in Francia, sondaggi confortanti per i favorevoli alle nozze gay (più del sessanta per cento). Ma ecco che la quota diventa minoritaria (meno del quarantasette per cento), quando si tratta di autorizzare l’adozione da parte delle coppie omosessuali. Per quanto riguarda l’accesso alla procreazione medicalmente assistita e all’utero in affitto, poi, la contrarietà dei citoyens raggiunge il sessantatré per cento. Non se ne parla proprio, insomma. Al punto che i relativi emendamenti a favore, all’inizio annunciati dal Partito socialista in sede di dibattito parlamentare, sono stati rapidamente rimessi nel cassetto dopo la prima grande manifestazione anti nozze gay (la “Manif pour tous” dello scorso 11 gennaio), e al Senato non si pensa per ora di riproporli, con grande delusione della parte più radicale del movimento Lgbt (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender).

E’ successo, poi, che l’eccesso di zelo di certi sostenitori del “mariage pour tous” ha ottenuto l’effetto opposto a quello desiderato. L’esempio forse più luminoso – a parte l’inneffabile nouveau philosophe Bernard-Henri Lévy, che ha messo il suo ciuffo e l’ardita scollatura della sua camicia bianca al servizio della causa, prendendosela in modo piuttosto sgarbato con la femminista Sylviane Agacinski: donna di sinistra, moglie dell’ex premier socialista Lionel Jospin e colpevole di essere laicamente contraria al mariage gay e all’utero in affitto – l’esempio più lampante, dicevamo, è quello di Pierre Bergé.
Ottantatré anni, vero mostro sacro della moda francese e figura eminente del tout-Paris (è stato per cinquant’anni il socio in affari e il compagno di vita di Yves Saint Laurent, con il quale ha anche costruito una collezione d’arte leggendaria, e oggi è uno dei maggiori azionisti del Monde), nella sua foga pro “mariage gay”, Bergé non ha avuto paura di trasformarsi in mostro tout-court. Non solo il 17 marzo ha rilanciato su Twitter un messaggio nel quale, a proposito della seconda “Manif pour tous” che si sarebbe tenuta domenica scorsa (nuovo grandissimo successo, tra l’altro), si diceva: “Vous me direz, si une bombe explose sur les Champs à cause de #laManifPourTous c’est pas moi qui vais pleurer” (il concetto è: se qualcuno tira ai manifestanti una bomba, non sarò io a piangere). Non solo dinamitardo  virtuale, quindi (il post è stato rimosso dall’account di Bergé, ma mercoledì gli è arrivata una denuncia degli organizzatori della Manif pour tous, che lo accusano di incitamento ad atti terroristici), ma anche dispensatore di perle di saggezza e di savoir vivre libertario degne di figurare tra le più belle pagine della République. Come quella che segue, pronunciata da Bergé e raccolta dal Figaro nel corso della  manifestazione pro nozze gay dello scorso 27 gennaio (nemmeno un decimo dei manifestanti rispetto a quella contraria, per la cronaca): “Non possiamo fare distinzioni tra i diritti, che si tratti di procreazione medicalmente assistita, di maternità surrogata o di adozione. Io sono a favore di tutte le libertà. Affittare il proprio utero per fare un bambino o affittare le proprie braccia per lavorare in un’officina, che differenza c’è? E’ una distinzione che lascia choccati”.

Per ora, oltre a molti altri e soprattutto a molte altre, a dirsi “choccato” dall’idea di Bergé è stato un suo ex sodale nella maison YSL, Karl Lagerfeld. Nonostante, a gennaio, avesse a sua volta concluso la sfilata per Chanel con una coppia di modelle vestite da sposa e con bambina al seguito (il mariage gay si porta molto, nel mondo della moda. Anche la copertina di quel mese di Elle aveva la sua brava coppia di spose). Favorevole alle nozze gay ma non all’utero in affitto, Lagerfeld aveva detto al Figaro che “due madri mi sembrano meglio di due padri. Un bambino senza madre è un po’ triste”.
Lagerfeld è un ingenuo. Perché tutta la storia del “mariage pour tous”, la cornice commossa dei diritti e dell’uguaglianza, l’appello melenso al diritto al figlio di una coppia omosessuale, è proprio là che va a parare: alla provetta “pour tous”, all’utero in affitto (in quale altro modo dare un figlio a due uomini, altrimenti?), al “nuovo modello di filiazione” che prevede la cancellazione preventiva e d’ufficio del padre o della madre. Pierre Bergé non è una macchietta – anche se si potrebbe essere autorizzati a pensarlo – o un personaggio qualunque. E’ invece, anche come patron del magazine di cultura e vita gay Têtu, uno dei principali leader e sponsor della campagna che vuole il matrimonio gay in Francia. E’ l’anfitrione che ha organizzato una “soirée citoyenne” militante, il 21 gennaio scorso, nel teatro del Rond-Point, sugli Champs-Elysées. Si entrava solo con l’invito – meglio non sfidare la sorte e le domande impertinenti – e vi hanno partecipato, tra gli altri,  Jeanne Moreau, Juliette Gréco, ovviamente Bernard-Henri Lévy, la compagna di Hollande, Valérie Trierweiler e decine di altri personaggi dello spettacolo, della moda, della Parigi “che conta”.  Tutti da Pierre il sabato sera, in una nuvola di “Rive Gauche” (anche nel senso del profumo YSL), per le nozze gay.  Pierre Bergé è tutto questo ed è anche l’uomo commosso che, alla morte del suo compagno di vita, disse che “se Chanel aveva dato la libertà alle donne, Yves Saint Laurent aveva dato loro il potere”. Probabilmente Bergé si riferisce al fatto che YSL aveva trasferito al guardaroba femminile alcuni classici maschili: il blazer, lo smoking, la sahariana, il giubbotto di pelle, l’impermeabile, il tailleur-pantalone. Ma di quanto poco questo “potere” incarnato dagli abiti possa oggi difendere le donne dalla volgarità di chi pensa che nove mesi di gravidanza e un parto siano come montare componenti in una catena di montaggio, qualcosa da regolare cash e poi addio per sempre… ecco, di questo forse si sarebbe stupito lo stesso Yves Saint Laurent.

La rozza filosofia del sincero Bergé – mal occultata dal profluvio di appelli alla “liberté-égalité-fecondité pour tous” della Taubira, o dall’aura di “ordinaria amministrazione” di cui Hollande ha sperato di avvolgere il provvedimento, che alla fine potrebbe passare con i sei voti di maggioranza che i socialisti hanno al Senato – afferma che il “mariage pour tous”  porterà, per forza di cose, all’idea che il bambino è un bene di consumo come un altro. Succede in America, del resto, anche negli stati dove il matrimonio gay non c’è. Ma perché succeda in Francia, c’è bisogno di un passo – un lungo passo – da fare rapidamente e senza voltarsi, una volta realizzata l’approvazione dell’istituto e dell’annessa possibilità di adozione. Dopo, l’obiezione è scontata: se due uomini sposati tra loro o due donne sposate tra loro possono adottare un figlio, perché non possiamo permettere che se lo “facciano” con un aiutino tecnologico? Dove finirebbe l’égalité?

La “premessa di una verità implacabile”, quindi, arriverebbe ai temuti “risultati completamente assurdi”, e instaurerebbe la completa “dittatura della confusione”. La definizione è del filosofo e teologo ortodosso francese Bertrand Vergely. Sessant’anni, autore di saggi sulla fede e la modernità pubblicati da Gallimard e da Albin Michel, Vergely non usa “langue de bois” per criticare il progetto di legge sul matrimonio e l’adozione omosessuale in Francia. Intervistato dal Figaro magazine l’8 febbraio scorso, ha detto che nella faccenda delle nozze gay “non è l’omosessualità che è in gioco, ma la negazione della realtà. In nome dell’uguaglianza e della tolleranza, ci viene fatta una violenza incredibile: si cerca di sradicare, su un modello revisionista, i dati costitutivi dell’umanità. Come definirlo, se non come un progetto totalitario?”. Possibile, continua Vergely, che non importi a nessuno se “il bambino diventa una merce? E’ stupefacente. Nel 1844 Marx insorgeva contro la reificazione dell’essere umano operata da un universo mercantile dove la logica delle cose vince su quella degli uomini. Con l’utero in affitto – gli uteri che si affittano e i bambini che si comprano –  a che cosa assistiamo se non al trionfo della logica mercantile delle cose, nella quale gli esseri umani non valgono più niente? Marx si starà rivoltando nella tomba, e viene voglia di parodiare la fine della ‘Confessione’ di Costa-Gavras: ‘Svegliati, sono diventati matti!’. Esiste una sinistra morale infinitamente rispettabile. Dov’è finita? Si fa sentire molto la ‘gauche caviar’, o meglio ancora la ‘gauche provoc’, sordamente riposseduta dai suoi demoni totalitari”.

La sinistra morale alla quale pensa Vergely non è quella che frequenta le “soirées citoyennes” très chic di Bergé, ma “quella di Jaurès, di Blum, quella che lotta per la difesa della dignità dell’uomo. La ‘gauche provoc’ e totalitaria è quella che pretende di inventare l’Uomo. E’ lei a guidare la danza nel ‘mariage pour tous’, e le sue sfide sono sotterraneamente ideologiche, come dimostra la manipolazione del linguaggio e il rifiuto di riconoscere un certo numero di realtà”. La realtà dice che “il matrimonio che ha bisogno di un uomo e di una donna per fare un figlio, e di un padre e di una madre per crescerlo, si radica nella riproduzione sessuata (…) Se l’omosessualità è un modo di vivere la sessualità che ha a che fare con la storia del singolo, e che ha diritto di esistere e di essere rispettata, la complementarità uomo-donna e padre-madre fa parte delle condizioni fondamentali di possibilità della vita umana e della sua crescita. In nome della tolleranza e dell’uguaglianza, è lo stesso fondamento della vita umana che si trova a  essere rimesso in causa”. Vergely dice ancora al Figaro che “come la grande maggioranza dei francesi, non sopporto l’idea che gli omosessuali possano essere perseguitati. Come molti francesi, non dubito né della loro moralità né della loro attitudine a prendersi cura di un terzo. Tuttavia, penso anche che sia gravissimo far credere che l’impossibile sia diventato possibile. Due uomini, due donne, non possono fare un figlio. La gauche radicale vuol far credere che questo non è vero e, per arrivarci, è pronta a ratificare ogni bricolage giuridico e tecnico al fine di rendere possibile l’impossibile. Sappiamo che cosa sia la fantascienza. Ora stiamo per conoscere la famiglia-fiction, premessa dell’umanità-fiction, quella che i transumanisti che si riscaldano in America chiamano ‘l’umanità modificata’”. La realtà è che “un bambino che ha due madri è privato del padre e uno con due padri è privato della madre. Ci dicono che è come gli altri? Falso. E’ un orfano. E affinché le coppie omosessuali possano essere coppie come le altre, gli imponiamo di non essere un bambino come gli altri. Con quale diritto?”.

La dittatura della confusione, conclude Vergely, vincerà che “se il legislatore deciderà di fare del matrimonio una questione di diritto e di sentimento al di fuori di ogni dato naturale”. Ma per ora, la Francia che si divide sulle nozze gay continua a tenere alto il tasso di natalità, nonostante la crisi (dati di due giorni fa) e sembra continuare ad apprezzare il “dato naturale”. La famiglia-fiction è ancora solo una minaccia.

di Nicoletta Tiliacos

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