Proponiamo ai nostri lettori questo articolo che è stato pubblicato nel giugno 2013 sul mensile Notizie ProVita: meritava di essere letto e merita di non essere dimenticato. Si parla di contraccezione, di pillole “leggere” e di effetti collaterali.
142 milioni di dollari già spesi in patteggiamenti, una media di 218.000 dollari per ciascuna delle 651 cause concluse, oltre 2 miliardi di euro ipotizzati da alcuni analisti finanziari per chiudere tutte le cause sugli anticoncezionali che nell’aprile 2012 avevano raggiunto il numero di 11.900.
Sono alcuni numeri collegati alle cause risarcitorie che hanno visto chiamata in causa l’azienda farmaceutica tedesca Bayer AG da parte di consumatrici delle pillole estroprogestiniche contenenti il principio drospirenone. Il drospirenone è un progestinico che ha proprietà antiandrogeniche, utilizzate per contrastare ad esempio l’acne giovanile, e antimineralcorticoidi. Queste ultime sono state ritenute particolarmente interessanti per minimizzare l’effetto di tensione e gonfiore che alcune donne lamentano con l’assunzione della pillola.
Per queste caratteristiche, insieme al basso dosaggio estrogenico, queste pillole sono state percepite come pillole “leggere” e quindi “innocue” ed hanno in breve tempo raggiunto quote rilevanti di mercato.
Ma riguardo al rischio tromboembolico le pillole contenenti drospirenone si sono dimostrate nient’affatto più innocue delle altre pillole che anch’esse incrementano tale rischio. Secondo la recente revisione pubblicata sul British Medical Journal (Lidegaard, 2011) che ha esaminato dal 2001 al 2009 oltre 8 milioni di cicli annuali di pillola, rispetto alle donne che non assumevano alcuna pillola, il rischio di tromboembolia era più elevato di 2,9 volte per le donne che assumevano la pillola col progestinico levonorgestrel, 6,6 volte per il progestinico desogetrel, 6,2 volte per il progestinico gestodene e infine 6,4 volte più elevata quando appunto il progestinico nella pillola era il drospirenone.
Secondo lo stesso studio l’incidenza in termini assoluti di tromboembolia è risultata essere di 3,7 casi ogni 10.000 donne non utilizzatrici di alcuna pillola, mentre erano 9,3 ogni 10.000 utilizzatrici di pillola col drospirenone. Quest’ultimo dato viene da alcuni letto come tranquillizzante: in fin dei conti, dicono, si tratta di un rischio molto contenuto, comunque inferiore rispetto a quello che si ha durante la gravidanza, e – secondo loro – vanno considerati i vantaggi assicurati dalla pillola in termini di riduzione della mortalità per cancro all’endometrio e all’ovaio.
Se però la si deve dire tutta, allora si dovrebbe anche ricordare l’incremento di rischio correlato all’assunzione di pillola per cancro del collo dell’utero, della mammella e per eventi cardiovascolari. E si dovrebbe dire anche che la gravidanza è associata a un rischio tromboembolico pari a 6 ogni 10.000, inferiore quindi a quello delle pillole di seconda, terza e quarta generazione. Senza contare inoltre il particolare non trascurabile che il bilancio vitale della gravidanza è sempre in positivo, come dimostra la presenza dell’uomo sulla terra anche prima che Gregory Pincus facesse la sua rivoluzionaria scoperta. Le linee guida emanate dall’Istituto Superiore di Sanità elaborate nel settembre 2008 non prevedono alcun accertamento laboratoristico per appurare la predisposizione genetica alla trombosi della donna, ritenendo sufficiente la verifica anamnestica della familiarità. È evidente che si tratta di una scelta basata su criteri economici. La presenza nella donna di particolari mutazioni genetiche in alcuni fattori della cascata coagulativa, svolge un ruolo moltiplicatore del rischio: viene da chiedersi quante volte la donna che si rivolge al medico per un’esigenza di controllo della propria fertilità riceve un’informazione completa che preveda l’apprendimento di strumenti efficaci, non farmacologici, a costo irrisorio e senza alcun rischio per la salute? Sto parlando dei metodi naturali. Facciamo un’inchiesta?
Renzo Puccetti