Voglio tornare alla poesia, al canto di un figlio che ha fame di braccia materne e non del ripetersi sempre di sguardi maschili. O femminili.
È vuoto il vostro cuore? Sì, purtroppo. Perché l’amore tra identici ha un buco incolmabile. A un certo punto non bastano tutte le normalità concesse, con legge, decreto speciale; non basta sentirsi tutti eguali, con certificato psicanalitico aggiornato, perché soltanto l’essere diversi consola.
Lì, nella naturale e importuna somatica complementare, si rifugia, dopo il piacere. L’atteso. Da quando l’uomo per la prima volta prese un corpo di donna, lì, in lei, trovò casa perfetta, lo stupore del primo figlio.
Oggi quello spavento meraviglioso è calcolato. E il ventre delle madri si paga mille volte per essere abbandonato vuoto. E il figlio vola lontano: commissionato, spedizione gratuita, con possibilità di resa fosse difettoso.
Gli altri, i milioni, non sanno; vedono soltanto il documentario allestito per commuovere, impietosire. Sentono un coro polifonico che intona ‘l’inno nazionale dei diritti degli identici’, il ritornello fa così: “Togliete i bambini dagli orfanotrofi, dateli a tutti coloro che amano; offrite donne il vostro fertile ventre, per un pugno di lire. Farete felici gli infelici regalando loro un figlio su misura”. Chi osa parlare ammutolisca davanti a tanto generoso dare. Amen.
Marco Luscia