05/07/2023 di Fabrizio Cannone

Cortometraggio choc su “come abortire” vince un concorso

Che il mondo dello spettacolo non sia, in generale, particolarmente sensibile alle delicate questioni etiche, tutti se ne rendono conto da tempo. Ma per gli estremisti dell’aborto bisogna andare sempre oltre, ignorando e calpestando la vita dei nascituri e il dolore di moltissime donne, le quali non raramente vengono indotte, convinte o costrette ad abortire.

Così, il cortometraggio "How to Get an Abortion” (Come abortire) di Sindha Agha e Samira Mian, malgrado il trattamento ridicolo di una tragedia – o forse proprio per questo – è stato premiato con un “BAFTA 2023” come Best Short Form Programme. Ovvero con il premio del British Academy Film Awards, assegnato ogni anno dalla British Academy of Film and Television Arts, e spesso citato come l’equivalente britannico dei premi Oscar.

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Secondo chi lo pubblicizza e lo promuove, il corto sarebbe «allo stesso tempo progressivamente illuminante e divertente». E avrebbe meritato il premio per «il montaggio dinamico» che «con tempismo puntuale», renderebbe «relativamente facile l'argomento effettivamente difficile dell'aborto». Ma come mai, perfino in questo contesto di voluta superficialità, palese propaganda e marketing, l’aborto viene definito un “argomento difficile”?

Forse perché, malgrado il battage che 365 giorni l’anno ci propongono i media, si capisce che in questa “scelta” qualcosa non funziona? Forse perché la democrazia partecipativa e la libertà di pensiero valgono per ogni singolo cittadino (maggiorenne), ma non dovrebbero estendersi ai danni di chi non ha voce per parlare? Forse perché la stessa legalizzazione dell’aborto, che avrebbe dovuto ottundere le coscienze una volta per tutte, ha fatto cilecca e crescono in Italia e nel mondo intero sia i medici obiettori che le donne pentite dell’aborto?

Come giustamente nota International Family News, il cortometraggio «banalizza la questione dell’aborto» e salta a piè pari «le potenziali gravi conseguenze e il trauma emotivo, per non parlare della morte del nascituro». Il film è dunque un altro tentativo di presentare l’aborto come “normale” e come una via d’uscita “senza conseguenze”. Specie per i giovani. Già.

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Ma forse qualcosa di buono c’è in produzioni come questa. Esse ci dicono, più dei grandi discorsi dei santoni pro choice che pontificano sui media ufficiali, che la questione aborto è ancora una piaga aperta che sanguina.

Invece di avere il coraggio di affidarsi alla scienza ed esclamare davanti ad un cuore battente un solenne: “Ci siamo sbagliati!”, si cerca di addormentare il senso morale dei giovani il prima possibile. Per evitare quel sussulto di onestà, di coraggio e dignità che farebbe arretrare tutti coloro che sul business dell’aborto e delle varie kill pill guadagnano cifre colossali.

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