La vicenda del piccolo Alfie – dai tratti grotteschi e che dovrebbero far riflettere sul futuro che stiamo costruendo – sta tenendo sospese milioni di persone: mamme, papà, nonni, addirittura bambini... in tantissimi seguono con attenzione e grande speranza le decisioni di quella che ha ancora la pretesa di farsi chiamare “giustizia”.
Come è noto, lunedì 16 aprile la Corte ha confermato che Alfie deve essere ucciso: il tentativo della difesa di far prevalere il diritto dei genitori di trasferire il loro bambino in un ospedale da loro scelto (il diritto, costituzionalmente riconosciuto da vari Paesi, dell’Habeas Corpus e dunque dell’inviolabilità personale) è stato rigettato. Per il giudice, infatti, sarebbe troppo pericoloso trasferire Alfie: nel suo ragionamento, paradossale, ucciderlo sarebbe meno rischioso per la sua vita. Chiaro, una persona morta non corre più nessun pericolo...
Per chi ha seguito l’udienza di ieri è stato evidente che la Corte non aveva alcuna intenzione di rivedere la propria decisione, anzi: non hanno nemmeno fatto finta di provare ad ascoltare e valutare le argomentazioni portate dall’avvocato di Alfie, che anzi è stato velatamente – ma neanche tanto – accusato di non avere a cuore l’interest del bambino.
Eppure, anche di fronte a questa ennesima presa in giro, i genitori di Alfie non si fermano: hanno già annunciato che faranno ricorso alla Corte d’Appello di Londra.
Cosa ci stanno insegnando questi due ventenni, Thomas e Kate, con il loro bambino? Semplicemente stanno mostrando al mondo cosa significhi essere famiglia, e questo scandalizza. Famiglia che è certamente amore (e, nelle loro foto, lo si coglie in modo lampante), ma che è innanzitutto sacrificio e abnegazione di sé: a quante cose “del mondo” stanno rinunciando questi due ragazzi? A quante ore di sonno? Quali pressioni stanno sopportando? E si potrebbe proseguire...
E famiglia che è rappresentazione di un equilibrio non banale: Kate è materna, protettiva nei confronti del suo bambino e di Thomas; lui, invece, è “la parte esterna”, il guerriero e il condottiero: Kate non prende decisioni e non parla senza prima essersi confrontata con Tom, e non perché non sappia essere autonoma, ma perché è sano che nella coppia vi sia un polo esterno e uno interno. Entrambi necessari, entrambi chiamati a un ruolo fondamentale: diverso, certo, ma di uguale valore.
In tutto questo Alfie è il simbolo del valore della vita: una vita che ha una dignità intrinseca ma che non è nelle nostre mani. Alfie non può fare nulla da solo, nulla. Eppure la sua storia sta smuovendo milioni di coscienze. Com’è possibile tutto questo?
In questa vicenda ci sono tante cose che non tornano e che fanno arrabbiare. Così come il futuro si prospetta angosciante, se qualcosa non cambia. Eppure, anche qui, del buono c’è: c’è una famiglia che sta testimoniando pubblicamente, nella pratica, i principi non negoziabili e c’è un popolo – che cresce giorno dopo giorno – che non ha intenzione di stare a guardare: il timore che, dopo Charlie, subentrasse un “tanto in Inghilterra funziona così” c’era. La consuetudine, lo scoraggiamento sono dietro l’angolo: non molliamo, non abbandoniamo la nostra umanità. Facciamolo per Alfie, che rappresenta tutti i malati in condizioni simili, ma anche per tutti i suoi detrattori.
Teresa Moro