«Sono nato da un padre e una madre. Mio padre si chiamava Raffaele, mia madre Stefania. Mio padre era maschio, mia madre femmina. Sono loro eternamente grato per il dono immenso della vita. Genitore 1 e genitore 2 mi ricordano le prime addizioni alla scuola elementare. Un obbrobrio. Smettiamola. Facciamo le persone serie. E badiamo ai veri problemi del Paese». Parole, condivise tramite un post, che sono costate il linciaggio pubblico al suo autore, don Maurizio Patriciello.
Il riferimento è ovviamente alla decisione presa dalla Lamorgese, che, con un nuovo decreto, ha reinserito nei documenti dei minori, i termini genitore 1 e genitore 2, in più don Maurizio Patriciello, ha dichiarato, in un suo recente intervento su Famiglia cristiana, che si sarebbe ispirato all’ intervista di Luciano Moia allo psicologo Camillo Regalia, dal titolo “Madri e padri irrinunciabili, differenze anche nominali indispensabili per la costruzione dell’identità dei figli”. E avrebbe aggiunto di non aver mai pronunciato una parola di offesa contro nessuno, né su questi argomenti, né su altri, nel suo post: “Chiunque può guardare la mia produzione pubblicistica (libri, articoli, post) e sa che non ho mai offeso nessuno, perché anche chi si critica merita rispetto”.
Eppure quelle semplici, poche righe, postate sul suo profilo e basate solo sulla semplice evidenza di un dato biologico, sono bastate a scatenare le ire di Antonello Sannino, segretario dell’Arcigay di Napoli che ha parlato di «inaccettabile ingerenza» e ha sottolineato: «Colui che si professa dalla parte dei deboli, ancora una volta è pronto a vomitare odio gratuito sui social. Non è la prima volta che questo personaggio cerca visibilità politica e pur di ottenerla scarica tutto l’odio e la rabbia sociale, ancora più pericolosa in questo delicato momento storico, contro le persone LGBT e contro le nostre famiglie».
Viene da chiedersi dove sia l’odio, nelle parole di don Patriciello, che è difficile riscontrare sia nei toni, sia nei contenuti espressi da don Maurizio. Se adesso dire la propria su questioni così rilevanti, facendo riferimento ad un dato biologico e da un punto di vista anche pastorale è sintomo di odio, allora viene da chiedersi come definire invece il violento stigma proveniente da chi dice di sentirsi “offeso”. E già perché, Sannino ha annunciato (forse per dare prova esempio di “tolleranza”? O di “rispetto”?): «Siamo pronti a una manifestazione a Caivano. Gli speculatori sociali e i seminatori di odio come Maurizio Patriciello sono uno dei veri problemi del Paese». Vere e proprie minacce rivolte direttamente contro la persona e non solo contro le sue idee. Una dichiarazione di guerra a tutti gli effetti, un atto intimidatorio, con cui si cerca di mettere a tacere anche la minima e più educata forma di dissenso e che dimostra che il semplice fatto di presentare un punto di vista diverso, rispetto a quello di certa ideologia, è considerato inammissibile e meritevole di punizioni adeguate.
La chiosa con cui don Maurizio Patriciello, su Famiglia cristiana, esprime la sua amara sorpresa di fronte ad una reazione sproporzionata, la dice lunga su questa vergognosa situazione di censura già in atto:
“Sono addolorato per questo fratello che ha bisogno di ricorrere alla menzogna per affermare qualcosa che è solo nella sua mente. Infine minaccia di segnalare l’intervento, indovinate a chi? Al vescovo? No, al Papa. Lascio a chi mi legge il compito di giudicare e di stabilire chi è l’odiatore”.