14/07/2013

Da Milano a Venezia, vogliono burocratizzare anche la morte

Nasci e sei un codice fiscale, muori e sei l’ennesima entry sopra una scartoffia amministrativa. Milano e Venezia, città illuminate del “Brave New World” in cui se lorsignori lo consentono sopravviviamo, hanno istituito il registro cittadino dei “testamenti biologici”. Ogni tizio di ottima salute e nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali può lasciar detto cosa fare di sé casomai in futuro non fosse lucido o si trovasse impossibilitato a esprimersi. Si può lasciar detto che si preferisce vivere oppure che si preferisce morire, quali cure si vuol sopportare, e pure quante. La vita e la morte sono cioè solo un’ennesima pratica burocratica da licenziare con qualche timbro e due firmette in un mondo guardone in cui tutto è diventato regolamento, e chi svicola intercettazione lo colga.

Io sono contro ogni forma di eutanasia, così come contro ogni forma di aborto, così come contro ogni forma di accanimento terapeutico, e non ho alcuna intenzione di nominare mio esecutore un bidello o un messo comunale. Il mio testamento è che di me sarà quel che sarà e che sarà com’è sempre stato, nessun voucher ad alcuno per decidere al posto di chi la vita me l’ha data e me la conserva fino all’ora X. Ma conosco un esercito bipartisan e trasversale di persone che esultano perché “il testamento biologico è l’espressione massima della libertà individuale”. Balle, e per dimostrarlo non serve la metafisica. Ognuno sull’Aldilà la pensi infatti come crede, ma anche un cieco vede che consegnare agli sbirri dell’aldiqua l’autorizzazione incontrovertibile e inappellabile a spegnere le nostre vite è il capovolgimento stesso della libertà. Il “testamento biologico” uno lo scrive quando la morte non c’è. Lo scrive quando c’è invece la vita. Quando in vita uno scrive il proprio “testamento biologico”, lo fa sforzandosi d’immaginare il “fine-vita” (qualsiasi cosa s’intenda con questo ennesimo neologismo del tempo che corre). Ma è sempre e solo lo sforzo immaginativo di uno che la vita ce l’ha. Poi però, una volta che uno lo ha scritto appunto nel piena della vita, il “testamento biologico” diventa la legge fondamentale e il tribunale ultimo che regolerà il momento in cui la vita sarà così tanto cambiata da rendere impossibile la comunicazione e un eventuale mutamento di parere. Si scrive da vivi, immaginando la morte, ma nessuno sa come davvero sono la morte e la vita precaria o addirittura sfuggente. Chi di noi è così schiavo dell’attimo fuggente, o banalmente così miope, da impegnarsi per la vita e per la morte in un contratto tanto oneroso e senza diritto di recesso? Per definizione, infatti, il “testamento biologico” è un atto giuridico redatto proprio per rendere immodificabile il futuro. È – in tutti i sensi – un accordo tombale preventivo.

Ma se invece la vita – anche liminale, durissima e dolorosissima – ci cambiasse idea sul “fine-vita”? Se ci ripensassimo, se davanti alla vita che fugge e alla prospettiva della morte vera (non solo immaginata), o del darsi la morte (sul serio, non solo su carta bollata), ritenessimo in finis che valga la pena lasciare che la natura faccia il proprio corso? Chi garantirebbe la nostra libertà di cambiare idea? Chi non cambia idea è un imbecille, e imbecille è pure chi ti vieta di farlo. Proprio come non permetteremmo mai a un medico (un “tecnico”) di stabilire il valore della nostra unica vita in base a provette, statistiche e note spese, perché dovremmo vietarci di potere a un dato momento dire, qualsiasi cosa avessimo pensato in altre circostanze, “’fanculo, preferisco vivere”?

Mettiamo invece l’altro caso, quello in cui uno, al “fine-vita”, la propria idea non la cambiasse affatto e preferisse farsi dare la morte. Che libertà dell’individuo è quella che consegna la stessa libertà individuale a un burocrate che la ratifichi? Però esiste, mi si risponderà, la libertà anche di farsi del male. Non è vero: quella libertà non esiste per il semplice fatto che non è libertà. Se io vedo uno che vuol gettarsi dal cornicione, e ho la possibilità di fermarlo, lo fermo senza chiedergli il permesso, il parere o copia del suo “testamento biologico”, sano o no di mente che quello sia, innocente o no che possa essere. Altrimenti gli avvocati onesti che difendono pure i criminali incalliti salvando la coscienza e l’intenzione non esisterebbero, com’è invece sacrosanto esistano. Io salverei quel tizio sul cornicione per affermare la mia sovrana e insindacabile libertà di garantire la cosa umana più sacra che esiste, prima per me e poi per lui: la sua libertà individuale che esiste solo perché c’è la sua vita. Salverei la sua vita per garantire la mia libertà. Libertà e vita sono una endiadi. Chiedersi quale delle due abbia la preminenza è come domandarsi se nasca prima l’uovo o la gallina. Non esiste libertà senza vita, e non c’è vita senza libertà. Il contrario invece è certo: senza libertà l’uomo muore, e la morte è l’assenza di libertà.

Quindi? Quindi al diavolo i “testamenti biologici” e i regolamenti annessi. Non possiamo mai essere sicuri nemmeno del fatto che uno che si augura la morte in caso di un “fine-vita” particolarmente difficoltoso e persino doloroso sia sempre e comunque nel pieno possesso delle proprie facoltà, quando, in piena vita, redige quel lascito funereo. Non si può neanche sapere se uno che si prescrive la morte da vivo nel caso di un “fine-vita” difficile e doloroso, e che però alla fine non cambia idea, sia nel pieno di tutte le proprie facoltà quando scrive un “testamento biologico” vero per una morte solo immaginata. Ho sempre considerato la frasetta “la mia libertà finisce dove inizia la tua” come quelle dei dolcetti cinesi, ma oggi è il momento di ricredermi in pubblico. Essa rende infatti perfettamente il concetto: la libertà di quel tizio che vuol farla finita saltando dal cornicione finisce dove inizia la mia libertà di non tollerare mai alcun attentato alla libertà. Salvando la tua vita difendo la mia libertà, oggi mi sento particolarmente egoista. Niente vita, nessuna libertà. Il “testamento biologico” è l’ennesima falsa libertà che regala, a pagamento, quello Stato (avatar locali compresi) che è sempre e solo interessato a controllare la vita e anche la morte dei propri tributari (i cittadini), regolamentandone ogni anfratto e bloccandone ogni fuga. Quindi? Quindi torniamo all’indistinto, alle zone grigie, al “non so”: finché c’è vita, c’è sempre speranza, e libertà.

Se poi mi di domandasse una confutazione persino teologica del “testamento biologico”, non farei altro che utilizzare uno dei punti cardinali del pensiero libertarian, vale a dire la totale sovranità sul proprio corpo che è prerogativa di ogni individuo, tale per cui nessuno può aggredire, offendere, ferire o uccidere una persona innocente. Nessuno; nemmeno io me stesso.

di Marco Respinti

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