06/11/2021 di Luca Volontè

DAL MONDO – Ragazza ci ripensa e non abortisce. Per Onu e femministe è “sotto tortura”

Gruppi femministi pro aborto della Bolivia hanno violentemente manifestato contro l'intervento della chiesa cattolica che ha convinto la madre di una ragazza di 11 anni a non abortire.

Al grido di "ragazze, non madri", "la gravidanza infantile è una tortura", decine di attivisti hanno marciato nella capitale della Bolivia La Paz chiedendo che la minorenne potesse interrompere la sua gravidanza. La ragazza è stata vittima di abusi sessuali e la sua famiglia ha richiesto un aborto quando la gravidanza è stata scoperta dopo 21 settimane.

Mentre era in ospedale, gruppi religiosi pro life cattolici hanno contattato la madre della minorenne e l'hanno convinta a non continuare l'interruzione della gravidanza. In una dichiarazione, la Conferenza episcopale della Bolivia ha esortato "le autorità a rispettare e proteggere il diritto alla vita e il diritto alla salute sia della ragazza, che è vittima di stupro, sia del bambino non ancora nato. Entrambe le vite dovrebbero e devono essere protette. Poiché sia la madre che la ragazza hanno deciso di continuare la gravidanza tenendo conto della salute della ragazza e del bambino, si dovrebbero cercare altre opzioni, come l'adozione, dato che la ragazza non si sente ancora abbastanza matura per prendersi cura del bambino. Ricordiamo a tutti – ha proseguito la Conferenza Episcopale - che nessuno può essere obbligato ad abortire, nemmeno di fronte a gravi violenze sessuali, perché l'aborto in Bolivia è un crimine e nessuno, nemmeno il personale sanitario, può essere costretto a commettere questo crimine. Chiediamo la necessità di definire meccanismi che rispettino il diritto umano all'obiezione di coscienza”.

Una sentenza costituzionale del 2014, infatti, ha stabilito solo che l'aborto è legale in caso di stupro, incesto o se la vita o la salute della persona incinta sono in pericolo. "Rispettiamo le credenze religiose, ma non possono essere coinvolte nel decidere su una ragazza che, come in molti altri casi, non ha accettato di avere rapporti sessuali consensuali", ha detto il ministro della presidenza boliviana Marianela Prada. Le Nazioni Unite hanno rilasciato una dichiarazione in cui esortano le autorità boliviane a salvaguardare la vita della minorenne e dicono che continuare la gravidanza potrebbe essere considerata una ‘forma di tortura’.

La ragazza non è in pericolo di vita e, ovviamente, non c’è alcuna tortura in corso. La ragazza è stata dimessa dall'ospedale il 26 ottobre e in una lettera scritta a mano il 27 ottobre ha rinunciato formalmente a procedere con l'aborto. La minorenne è stata poi trasferita in una casa protetta gestita dalla Chiesa cattolica a Santa Cruz de la Sierra.

Da quel giorno si sono moltiplicate le manifestazioni e gli atti di vandalismo contro le chiese ed i palazzi vescovili in tutto il paese, persino ‘ombudsman del popolo boliviano’, Nadia Cruz, insieme a funzionari del suo ufficio, ha guidato una marcia verso gli uffici della Conferenza episcopale boliviana, partecipando ad atti di vandalismo. La Chiesa boliviana è sotto attacco per aver difeso la vita e la costituzione di un paese nel quale i comunisti e gli abortisti al potere usano la violenza contro chiunque voglia affermare la vita del concepito e della madre.

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