Che l’eutanasia possa essere un diritto globale è ormai desiderio di molti governi, ma che a scegliere la dolce morte non sia più il soggetto ma altresì la pubblica amministrazione rappresentata dall’azienda ospedaliera, sembra essere la nuova “scoperta” della giurisprudenza d’oltre Manica (http://www.lifenews.com/2013/10/30/uk-court-hospital-can-stop-care-for-terminally-ill-man-despite-familys-wishes/).
La più alta corte britannica ha stabilito che un ospedale può rifiutare il trattamento di un malato terminale, causandone così la morte: e tutto nonostante i desideri della famiglia del paziente.
La Corte Suprema ha stabilito, infatti, che l’Hospital Aintree University di Liverpool ha correttamente evitato di attuare alcuni trattamenti palliativi a favore di David James, 68 anni, malato di cancro al colon.
Visto che, secondo i medici, il signor James aveva l’1% di possibilità di sopravvivenza, hanno presentato richiesta, peraltro respinta, di interrompere alcuni trattamenti, senza il consenso o la domanda esplicita della famiglia del paziente. Ma la Corte d’appello da prima e la suprema Corte poi hanno ribaltato la decisione ritenendo, se il trattamento medico è inutile ai fini della guarigione, “sarebbe preferibile e nell’interesse del paziente, ritirare o sospendere il trattamento di sostegno vitale, anche se ciò comporta la morte del paziente”.
La famiglia James ha più volte ribadito che le cure avrebbero dovuto continuare perché non era ancora stata raggiunto il punto in cui il trattamento medico risultava inutile e senza speranza. Ma tutto questo ai giudici non è interessato: quella vita non era più degna di essere vissuta, comportava uno spreco di risorse e denaro pubblico e quindi non andava più sostenuta, aiutata, alleviata.
di Giampaolo Scquizzato