Il dialogo è invocato da tutti, perché è giusto davvero cercare il dialogo, base per ogni relazione.
La contrapposizione e la chiusura sono sempre foriere di problemi, sia a livello personale che sociale. La mancanza di dialogo provoca veri disastri esistenziali.
E’ anche molto corretto politicamente, oggi, invocare il dialogo: le maggioranze con le minoranze, i cattolici con i “laici”... anche allo stadio, tra un po’, vieteranno del tutto il tifo tradizionale e invocheranno il dialogo tra curve contrapposte.
Ma per dialogare davvero, bisogna volere il dialogo vero. Invece il “dialogo” sta diventando una delle tante parole svuotate dal proprio significato originario e riciclate dalla neolingua con tutt’altra essenza (e per un ben diverso scopo).
Padre Carbone sulla Nuova Bussola Quotidiana di qualche giorno fa, notava che per dialogare davvero occorrono due presupposti.
“Dialogare deriva dal greco dia-lego, dove la preposizione dia significa tra, e quindi indica la relazione, e il verbo lego significa parlo... Suppone la relazione tra persone e l’intelligenza come facoltà che conosce la realtà delle cose, cioè tende al vero.
I presupposti del dialogo sono almeno due. Il primo è essere ancorati alla realtà, ai fatti, alle evidenze. Questo ancoraggio è indispensabile, altrimenti cado nella negazione della realtà o nella censura di qualche suo aspetto. Il secondo presupposto è parlare la stessa lingua, cioè usare le parole secondo la stessa accezione, perché se in una frase usassi una parola secondo un suo significato e in una seconda frase usassi la stessa parola secondo un significato diverso dal primo produrrei nel mio interlocutore un grande equivoco, giocherei con le parole, e il nostro dialogare sarebbe fuorviato e non approderebbe a nulla se non all’inganno”.
E quindi, quando l’interlocutore si chiude alla realtà, nega l’evidenza e la natura delle cose, quando spara dati inventati (tipo i numeri sull’aborto clandestino, allora, o il numero delle “famiglie” gay oggi), ma poi invoca il dialogo, è solo ipocrisia. Non è certo il vero dialogo che vuole.
Stessa cosa, quando nega le evidenze statistiche (tipo che il tasso di incidenza di suicidio nelle coppie conviventi dello stesso sesso aumenti del 300% rispetto alle coppie conviventi di sesso opposto), nega di godere degli stessi diritti civili di tutti (cosa scritta nero su bianco nella legge), il dialogo manca del primo presupposto: non è ancorato alla realtà, all’evidenza.
Quando chi ci sta di fronte invoca l’uguaglianza e la non-discriminazione, ma intende omogeneizzazione e omologazione che nega le differenze oggettive (tra coppie omo e etero, tra maschi e femmine), sta giocando con le parole, ci sta ingannando. Manca quindi il secondo presupposto del dialogo.
Se ogni nostra critica è vista come contrapposizione, e si pretende di chiuderci la bocca anche con mezzi illeciti (tipo la pirateria informatica), allora, di quale dialogo va cianciando?
Infatti, “Nella cultura relativista pare che si possa interpretare tutto, ma non alcuni disegni di legge”, dice Carbone.
E conclude: “L’amore per l’intelligenza mia e tua e la ricerca di un dialogo serio e che costruisca il bene comune tra gli amici ci chiamano non solo a testimoniare, ma a valutare criticamente, a dire dove sono gli errori e gli inganni, a denunciare le censure mediatiche, le intimidazioni sociali e i fatti criminali. Solo l’amore per l’intelligenza mia e tua, solo l’ancoraggio alla realtà dei fatti ci consente di dialogare.”
Redazione