La scuola italiana è tutta da ripensare e non sarà certo la didattica a distanza la panacea di tutti mali. Al contrario, bisogna diffidare parecchio dei “tecnoentusiasmi”. Lo dichiara, in un’intervista a Pro Vita & Famiglia, il professor Tonino Cantelmi, psichiatra e psicoterapeuta, esperto di problematiche legate al rapporto tra giovani e nuove tecnologie, che ha espresso favore per la nostra petizione per il ritorno a scuola in sicurezza.
Professor Cantelmi, qual è la sua posizione, in linea generale, sulla didattica a distanza?
«La didattica a distanza, introdotta in questo tempo, è stata troppo improvvisata, troppo poco sensata, non adeguatamente pensata. Ovviamente siamo consapevoli dell’impressionante e generoso impegno degli insegnanti. Devo dire che gli insegnanti non hanno rinunciato ad insegnare! Però non erano pronti, la maggior parte di loro non conosceva la didattica a distanza, non sapeva, ad esempio, che si tratta di una condizione di grande sovraccarico cognitivo: non è semplicemente ripetere la lezione come se fosse in presenza. Si tratta di un’esperienza dai contenuti cognitivi, emotivi, percettivi e affettivo-relazionali assolutamente diversi dall’esperienza consueta. Quindi si è trattato di uno sforzo bello, generoso, ma ingenuo. Inoltre bisogna considerare che, attraverso la didattica a distanza, i meccanismi dell’apprendimento cambiano: occorre utilizzare modalità di svolgimento della didattica a distanza che non siano la riproduzione di una lezione in presenza. La didattica a distanza, così come effettuata in Italia, è stata un fallimento. Non si è tenuto conto del gap tecnologico di molte famiglie, si è puntato troppo sulla responsabilità degli allievi, non si sono considerati i problemi che la DAD genera. Ovviamente tutto ciò è da ascriversi anche all’incredibile velocità con la quale è stata imposta da eventi assolutamente straordinari. Tuttavia, al di là dei trionfalismi del ministro, dell’esultanza dei nuovi guru “tecnofili” e della retorica delle istituzioni, al di là di dati ministeriali che a me non sembrano realistici, al di là di tutto questo e dell’immensa generosità degli insegnanti, direi che si è trattato di un colossale fallimento».
Il Ministro Azzolina propone un sistema “misto” a partire da settembre: metà studenti a scuola, l’altra metà videocollegati. A suo avviso, è un modello praticabile?
«In realtà siamo in uno stato di confusione. Il Ministro ha mostrato tutti i suoi limiti. La verità è che bisognerebbe ridisegnare davvero la scuola, spostare ingenti finanziamenti nel settore più importante per il futuro del paese, investire sull’educazione e sulla formazione dei bambini, degli adolescenti e dei giovani di oggi. Il sistema misto proposto dal ministro, come anche altre proposte, è il segno di una povertà progettuale, di una sostanziale incapacità di affrontare una sfida così colossale. Sono stati fatti numerosi bizzarri annunci e prese decisioni puntualmente modificate: si tratta appunto di una povertà progettuale impressionante».
Che conseguenze psico-sociali intravede, a lungo termine, per studenti e insegnanti, loro malgrado coinvolti in questi cambiamenti?
«I “tecnofili” hanno manifestato un entusiasmo senza precedenti: finalmente un’accelerazione senza limiti verso l’incremento della tecnomediazione di ogni attività umana. Abbiamo fatto l’esperienza del lavoro tecnomediato, degli aperitivi tecnomediati, dell’apprendimento tecnomediato! Tante persone si sono rivelate entusiaste di queste novità, sicure di un cambiamento totalmente in positivo. Non è affatto così. L’eccessiva tecnomediazione delle relazioni umane in ogni ambito, compreso quello dell’insegnamento e dell’apprendimento, generano una serie di problematiche sociorelazionali impressionanti. Nella relazione a distanza, così come nella psicoterapia a distanza o nell’insegnamento a distanza, non ci si può guardare gli occhi: se io guardo nella telecamera, la persona che riceve la mia immagine ha la sensazione che la sto guardando negli occhi, ma, se anche l’altro guarda nella telecamera, siamo due persone che guardano nella telecamera e lo sguardo si incrocia solo nell’immagine. Se io invece guardo nel video gli occhi dell’altro, ho la sensazione che lo sto guardando negli occhi e l’altro, invece, vede il mio sguardo perso nel vuoto. Il contatto oculare è una delle condizioni fondamentali per l’incontro interumano. Questo è solo uno dei tanti aspetti che dovrebbero essere considerati. Nell’insegnamento a distanza, poi, occorre fare i conti con il sovraccarico cognitivo. Insomma, sono moltissimi i motivi che, a mio parere, dovrebbero fermare alcuni “tecnoentusiasmi”. Nessuno di noi pensa di rinunciare agli enormi vantaggi della tecnologia ma rimango stupito dagli incredibili entusiasmi di tante persone. La tecnomediazione esasperata non potrà che generare individualismo, difficoltà metacognitive nel capire gli stati d’animo dell’altro, difficoltà nel gestire l’intimità e l’empatia. Ad esempio, l’eccessiva tecnomediazione social si accompagna ad alti punteggi sulle scale per la loneliness, ovvero la solitudine percepita».
Pro Vita & Famiglia ha lanciato una petizione per il ritorno a scuola in sicurezza per il prossimo anno scolastico. Condivide l’iniziativa?
«La petizione va nella giusta direzione. Non si tratta di ricorrere alla tecnologia come risposta, ma di investire davvero sulla scuola. Investire sulla scuola vuol dire investire innanzitutto sul capitale umano, sulla qualità dei docenti, sulla loro soddisfazione economica, sui loro percorsi di crescita, sulla valutazione vera e autentica dei docenti stessi, sull’elaborazione di percorsi di apprendimento complessi e anche multimediali, ma integrati in un contesto socio-relazionale efficace. Si tratta di investire sulle strutture, perché siano accoglienti, perché gli spazi siano disegnati sui bisogni psicologici dei nostri figli e sulle necessità della crescita psicosociale. Significa investire sulla tecnologia, senz’altro, ma anche su percorsi di apprendimento capaci di integrare esperienze innovative nello studente. Investire sulla scuola significa considerare la scuola non come una cenerentola ma come una regina. Abbiamo bisogno di riflettere sul fatto che i percorsi educativi dei nostri bambini, dei nostri adolescenti e dei nostri giovani sono l’ambito più prezioso della nostra società. È in questa direzione che dobbiamo andare. In realtà questa tragedia (la retorica dell’“andrà tutto bene” è stucchevole: è andata malissimo, se contiamo i morti e le macerie sanitarie, economiche ed emotive) ci impone una sfida colossale in ogni ambito, ma nella scuola in modo particolare».