09/04/2025 di Redazione

L’audizione di Maria Rachele Ruiu alla Regione Lazio sull’istituzione del Servizio di Psicologia Scolastica

Lo scorso 18 marzo Maria Rachele Ruiu è intervenuta in audizione presso la IX Commissione della Regione Lazio sul tema della proposta di legge regionale n. 61 del 3 agosto 2023 concernente “Servizio di Psicologia Scolastica”. Lo ha fatto in qualità di portavoce di Generazione Famiglia, il braccio operativo di Pro Vita & Famiglia nel mondo della scuola nonché associazione di genitori facente parte del FONAGS, il forum delle associazioni dei genitori maggiormente rappresentative a livello nazionale, incardinato presso il Ministero dell’istruzione, oltre che counsellor professionista secondo il Metodo Multisetting e laureata in psicologia.

Un’audizione che ha messo al centro non solo il disagio giovanile, ma anche il ruolo educativo della famiglia, il pericolo di derive ideologiche e la necessità di non medicalizzare ogni fragilità.

«È vero, negli ultimi anni soprattutto, abbiamo assistito a un aumento di episodi di autolesionismo tra i giovani, un aumento degli accessi agli ospedali per intenzioni suicidarie, un aumento degli episodi di violenza. Insomma, arrivano molti segnali del disagio che i giovani vivono», ha esordito Ruiu, riconoscendo la gravità della situazione vissuta da tante famiglie e studenti. Ma subito ha voluto introdurre una riflessione profonda e controcorrente, rivolta ai legislatori: «Mi preme tuttavia ricordare, in questo luogo istituzionale, prima di entrare nel merito della proposta, due luoghi comuni che rischiano di diffondere stereotipi dannosi e di distorcere il dibattito pubblico: non tutti i comportamenti problematici sono riconducibili a un disturbo mentale [...] e chi soffre di un disagio mentale non è automaticamente più violento o pericoloso di chi non ne soffre».

L’urgenza di una vera alleanza educativa

Una posizione ferma, che punta a restituire complessità alla condizione adolescenziale, spesso ridotta a una semplice diagnosi da trattare clinicamente. La proposta di legge in discussione, infatti, rischia di «medicalizzare ogni difficoltà legata alla crescita», dimenticando che, in molti casi, la sofferenza dei giovani nasce anche dalla crisi valoriale e educativa del mondo adulto. «La crisi che vivono i nostri giovani – ha spiegato – è anche sintomo della crisi che vivono gli adulti, che hanno perso il senso stesso dell’educazione, disorientati da decenni di relativismo e nichilismo».

Secondo Ruiu, il disagio giovanile non può essere affrontato unicamente con l’intervento di uno specialista. È necessario un approccio integrale, che coinvolga «genitori, docenti, istituzioni, alleati per il loro benessere». Per questo motivo, ha ammonito: «La medicalizzazione del rapporto educativo e, più in generale, delle relazioni sociali rischierebbe di cronicizzare questa moderna incapacità di “ex ducere”». Nel cuore del suo intervento, Ruiu ha ribadito con forza che la scuola deve rimanere un ambiente educativo, dove il giovane sia accompagnato da «educatori credibili», e non trasformarsi in un ambulatorio psicologico. «Se vogliamo davvero aiutare le nuove generazioni, dobbiamo prima di tutto recuperare il senso dell’educazione e il ruolo centrale della famiglia: servono famiglie solide e serve restituire alla famiglia il suo primato educativo». Nel difendere la centralità del ruolo genitoriale, Ruiu ha denunciato il rischio che l’eventuale istituzionalizzazione della figura dello psicologo scolastico porti a un esautoramento dei genitori dalle proprie responsabilità. «Ogni intervento esterno deve essere di supporto, mai sostitutivo», ha sottolineato. E ha voluto rendere onore anche a quei tanti docenti che, silenziosamente, svolgono con dedizione la loro missione educativa: «Siamo contenti di testimoniare che sono tantissimi i docenti che nel silenzio si impastano con la fatica dei nostri figli [...] trasformano le fragilità in risorse da riscoprire».

I rischi della proposta

Sul piano della proposta normativa, Ruiu ha espresso serie perplessità riguardo all’idea di rendere strutturale il servizio di psicologia scolastica. Se da un lato ha riconosciuto che «esistono casi in cui un supporto clinico è più che necessario», dall’altro ha messo in guardia dal rischio di snaturare il compito educativo della scuola: «Rendere strutturale la figura dello psicologo scolastico rischierebbe di caricare la scuola di responsabilità che spettano da una parte ai genitori, dall’altra al sistema sanitario».

Nel dettaglio, ha elencato i principali rischi della proposta così com’è formulata: la medicalizzazione delle fragilità, l’esautorazione dei genitori, l’esternalizzazione del compito educativo della scuola e l’assegnazione alla scuola di compiti propri del sistema sanitario territoriale, il quale, peraltro, soffre di gravi carenze strutturali e di risorse. Tra i rischi più critici, tra l’altro, c’è quello di «addossare alla scuola compiti che sono invece in capo ai servizi territoriali dedicati alla salute mentale, anziché finanziarli per rispondere alla loro carenza (mancano le risorse adeguate per il primo ascolto e per il riconoscimento precoce delle difficoltà da parte di neuropsichiatri; sono scarse le strutture per il ricovero e il post-ricovero, rendendo ancora più difficile accompagnare i giovani, e le loro famiglie, in percorsi di recupero adeguati e sopportabili)».

Nuove proposte per migliorare

A fronte di queste criticità, sono state avanzate alcune proposte concrete. Anzitutto, Ruiu ha chiesto che «il servizio non sia reso strutturale, ma attivato al bisogno» e che sia «reso da tutti i professionisti delle relazioni educative o di aiuto (counsellor, pedagogisti)». Ma soprattutto ha invocato una «rinnovata alleanza educativa tra scuola e famiglia», che riporti al centro la responsabilità condivisa degli adulti.

Riguardo al testo della proposta, Ruiu ha avanzato proposte di modifiche puntuali. All’articolo 3, ha chiesto di riformulare il comma 1 lettera a), eliminando un elenco troppo generico di disagi e sostituendolo con un riferimento esplicito a fenomeni come «dipendenze da sostanza e comportamentali», «disagi connessi all’iperdigitalizzazione», «fenomeni di cyberbullismo» e «disturbi alimentari». Ha poi richiesto che il comma 2 definisca con precisione «i protocolli operativi per gestire la normativa di protezione dei dati», al fine di evitare interferenze indebite nei convincimenti educativi delle famiglie. Un punto particolarmente rilevante dell’intervento è stato dedicato alla denuncia del rischio ideologico. Ruiu ha sottolineato che troppi progetti scolastici, anche se partiti con buone intenzioni, finiscono per diventare «campi di rieducazione ideologica», in cui si promuovono «modelli antropologici e morali in netto contrasto con i principi e i valori delle famiglie». Ha poi aggiunto: «In nome di un supposto “benessere psicologico” dei ragazzi, si finisce per veicolare visioni ideologiche sulla sessualità, sulla famiglia, bypassando completamente il ruolo educativo dei genitori». Per questo, ha chiesto che all’articolo 4 si introducano esplicitamente: il «consenso informato preventivo dei genitori» per ogni attività proposta, il «divieto di proporre attività afferenti i concetti di identità o fluidità di genere», e il «divieto di educazione sessuale nelle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, salvo gli insegnamenti afferenti alla riproduzione umana nel curricolo obbligatorio». Ha inoltre indicato la necessità che il consenso sia davvero informato, includendo dettagli su finalità, contenuti, strumenti didattici, questionari, strategie e bibliografia dei progetti.

Infine, sul tema della governance della proposta, Ruiu ha chiesto di garantire un vero coinvolgimento della componente genitoriale nel comitato tecnico-scientifico. All’articolo 6, comma 3, ha proposto di aggiungere «due o più rappresentanti di associazioni di genitori del FORAGS» e «due o più rappresentanti di associazioni familiari». In conclusione, l’intervento di Maria Rachele Ruiu è stato un richiamo forte e puntuale a non cedere alla tentazione di delegare tutto agli “esperti”, ma a riscoprire la forza educativa della relazione, il primato dei genitori e la necessità di preservare la scuola come luogo di crescita, non come terreno per sperimentazioni ideologiche.

 

 

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