Come cittadini europei dovremmo sentire il dovere di manifestare la nostra profonda contrarietà all’imposizione da parte delle strutture comunitarie di principi contrari ai valori universali in cui crediamo.
Ancora più spregevole è l’ipotesi in cui ciò accade strumentalizzando nobili battaglie.
Anche se nessuno ne parla, l’Unione Europea sta iniziando a discutere la cosiddetta “Equal-Treatment Directive“, una direttiva comunitaria che, se approvata, avrà valore vincolante per gli Stati membri e sarà quasi impossibile da riformare.
La proposta è stata originariamente elaborata con l’intento lodevole per proteggere le persone con disabilità dalle discriminazioni. Tuttavia, da quel momento il documento è stato strumentalizzato per altri fini: limitare le libertà dei cittadini con modalità che non hanno precedenti. In gioco ci sono la libertà contrattuale, la libertà di coscienza e di autonomia privata, soprattutto in tema di matrimonio e famiglia.
Per fare alcuni esempi, tratti da Paesi in cui sono già in vigore normative simili, un fiorista è stato condannato perché non voleva fare composizioni floreali per un matrimonio tra persone dello stesso sesso; oppure, un campo estivo cristiano è stato citato in giudizio perché non voleva affittare la propria sede a un’associazione gay.
La direttiva parte dal principio per il quale non bisogna discriminare le persone in quanto tali (principio ovviamente nobilissimo), per poi finire per costringere le persone a stipulare contratti (e quindi a comportarsi) in modo contrario alle loro convinzioni morali o religiose.
Nel caso concreto del fiorista, un conto è esporre fuori dal proprio negozio un cartello con scritto “Vietato l’ingresso ai gay”, il che rappresenterebbe una trovata discriminatoria e odiosa (oltre che stupida, dato che non sarebbe possibile “certificare” l’orientamento sessuale dei singoli clienti), un altro è rifiutarsi di lavorare alla preparazione di un “matrimonio” gay: a nostro avviso, se un fiorista non ritiene (per ragioni personali, morali o religiose che siano) di fornire un servizio, deve avere la libertà di non farlo. Ciò non costituisce affatto una discriminazione: al contrario, costringere a stipulare un contratto e a comportarsi di conseguenza (magari contro le proprie convinzioni etiche o religiose) rappresenta un atto violento e illiberale.
Un altro esempio concreto: un ristorante di Madrid qualche mese fa si è rifiutato di organizzare un banchetto per un matrimonio gay. Il ristorante ha numerosi dipendenti e clienti omosessuali, e nessuno di essi ha mai segnalato di aver subito discriminazioni. Tutt’altra cosa, ancora una volta, è la fornitura di un servizio che può andare contro le convinzioni del proprietario dell’attività: nel caso specifico, se il ristoratore è convinto che il matrimonio sia solo quello tra uomo e donna, a nostro parere nessuno deve obbligarlo ad organizzare un banchetto di nozze di altro tipo.
Ancora una volta, si tenta di far avanzare il fronte dei cosiddetti “diritti LGBT” e del “matrimonio” gay (e di impedire a chi dissente di agire liberamente di conseguenza, nel rispetto di tutti) con l’odioso “cavallo di Troia” della lotta alle discriminazioni contro i disabili. Come a dire “Se non sei d’accordo con il matrimonio gay, sei come quelli che discriminano i disabili”. E invece no!
Le due cose non hanno nulla in comune: bisogna contrastare il più possibile le discriminazioni contro i disabili (e contro chiunque altro) senza modificare il concetto di “discriminazione” a fini ideologici.
CitizenGo in merito a questo iniquo, illiberale e violento documento ha predisposto una petizione che sottoponiamo all’attenzione dei nostri lettori.
FIRMA ANCHE TU!
Intanto più di 100 associazioni civili, tra cui Pro Vita onlus, hanno scritto una lettera aperta al Presidente della Commissione Europea, Junker, per chiedere il ritiro della proposta normativa in questione.