Una lesbica e un gay dichiarato, attivisti LGBT di lunga data, da sempre impegnati perché i “diritti” degli omosessuali fossero annoverati tra i diritti umani, si oppongono fermamente e inesorabilmente a qualsiasi forma di utero in affitto o in comodato (cioè anche nella forma della cd. “surrogazione altruistica”, che poi , invero, non è mai gratuita).
Si oppongono sia da un punto di vista legale, sia medico, sia psicologico: è un abuso, una mercificazione di donne e di bambini che vengono esposti anche a significativi rischi per la loro salute.
Si tratta di Julie Bindel, giornalista, scrittrice e attivista femminista e di Gary Powell, attivista gay e insegnante, e ne hanno scritto sul sito Stop Surrogacy Now.
Sottolineano che l’utero in affitto consente lauti guadagni agli intermediari che soddisfano il desiderio di bambini di ricchi committenti (gay o etero che siano), a scapito dei diritti dei bambini e delle donne povere sfruttate.
E’ una pratica razzista e misogina. Sta diventando un “diritto dei gay” e automaticamente viene stigmatizzato chiunque vi si oppone come “omofobo”.
«Silenziare un sereno dibattito su questo argomento, e l’associare con i “diritti” dei gay il libero sfruttamento dell’utero di donne povere e disperate avvilisce le istanze della comunità lesbica e gay», scrivono i due. E fanno appello proprio alla comunità lesbica e gay affinché facciano un passo indietro. Non si può restare indifferenti o peggio accettare l’utero in affitto.
Ricordano la protervia con cui Elton John ha invitato al boicottaggio di Dolce e Gabbana per la loro critica a chi comprava “bambini sintetici”; e tutti quelli che sollevano perplessità su tale pratica e su tale “diritto” sono aggrediti mediaticamente e accusati di fanatismo (il linciaggio e le accuse di bigotteria sono toccati anche agli scriventi).
Notano anche che la comunità gay e lesbica, in questo modo, si rende anche responsabile dello sdoganamento della turpe pratica a vantaggio delle coppie sterili eterosessuali: offrono loro un assist per la “normalizzazione” dell’acquisto dei figli!
Le autentiche femministe, poi, non possono tollerare che delle donne rinuncino ai loro “diritti sessuali e riproduttivi” per denaro. Chi vi si sottopone per tutta la gravidanza è costretta a vivere secondo i dettami dei committenti: non è neanche più libera di mangiare e bere quello che vuole, né di avere rapporti sessuali col suo partner. Deve fare test e controlli – anche invasivi – su comando dei committenti, deve abortire (uno o più bambini se la gravidanza è gemellare) in base al desiderio dei committenti. Dovrà per forza partorire con taglio cesareo, il giorno deciso da loro. E non potrà neanche vedere il bambino, neanche se alla fine della gravidanza non volesse più darlo via.
Non sarà mai una libera scelta della donna sottoporsi a tutto questo. Ci sarà sempre dietro una “coercizione esistenziale” e spesso una scarsa informazione sulle conseguenze e sui dettagli dell’accordo.
Ricordano un esempio: una madre surrogante, che doveva partorire un bambino “appartenente” a un stella della Tv, consentì per contratto (e lei non ne aveva idea) a far filmare il parto. La cosa venne trasmessa in Tv e durante il programma in questione si sono sentiti per tutto il tempo i commenti volgari degli uomini sui genitali della malcapitata.
Insistono, la Bindel e Powell, che la comunità gay e lesbica non può rendersi complice di tutto questo. Comprendono anche che l’uguaglianza non è sempre un “diritto” (una coppia omosessuale non è uguale a una coppia etero!).
Ribadiscono a più riprese che l’utero in affitto riduce donne e bambini a prodotti di consumo e che non esiste il diritto a un figlio. Infine i due autori ricordano che l’utero in affitto è un grosso danno anche per il bambino che subisce il trauma della brusca separazione dalla madre che l’ha tenuto in grembo nove mesi.
Chissà se i tanti omosessuali che ragionano secondo il buon senso e la pensano come la Bindel e Powell prendono coraggio di fare “outing” su questa questione e riescono a mettere a tacere quegli attivisti gay dai quali non si sentono affatto rappresentati...
Redazione